Soldato Franz

Proseguiamo con la pubblicazione delle opere vincitrici del Premio Letterario Clepsamia 2020. Oggi è la volta del racconto classificato al 5° posto assoluto: Soldato Franz di Marina Ciancetta.

SOLDAT FRANZ
Lea è triste.
Vuole bene alla nonna sì; ma è domenica e ha dovuto rinunciare ad uscire con gli amici per stare con lei. I suoi genitori hanno un impegno. Glielo hanno detto con tanto anticipo. “Non possiamo lasciarla sola, Lea. Non sarà la fine del mondo non uscire per una domenica, non credi?” Si, glielo hanno comunicato con tanto anticipo, così tanto che Lea l’aveva scordato!
“Cosa ne può sapere sua madre della fine del suo mondo!?”. Ad ogni modo non può farci nulla, bisogna stare con nonna Lucia e questo è, punto. I suoi occhioni azzurri, senza la luce del solito sorriso, sembrano due cieli spenti che le incupiscono lo sguardo.
Seduta vicino alla nonna appisolata è irrequieta. Messaggia con il cellulare per avvertire le amiche e la guarda. “Proprio oggi nonna! Oggi che avrei rivisto Marco!” Pensa.
Un misto di irritazione e impotenza le stringono lo stomaco e un lacrimone fa capolino dai suoi occhi azzurri scivolando dolcemente sulle gote rosee. “Lea, mi dispiace.”
Nulla può sfuggire al cuore e agli occhi di quella donna di 90 anni. “Tranquilla nonna”. A stento e, irrimediabilmente dal tono insicuro, le parole rinviano alla lacrima che la ragazza frettolosamente asciuga. “Piccola mia ti capisco. Sono felice di vederti vivere una vita spensierata. Alla tua età io facevo ben altro, ma non solo perché erano altri tempi.”
Un sospiro profondo. “Allora c’era la guerra!”
Il tono delle parole di Lucia muta nel pronunciare quella parola: “guerra”.
Lea avverte un brivido e coglie nelle pieghe di quelle rughe una tristezza che non ha mai visto. Somiglia alla sua di oggi e, per la prima volta, la guarda con occhi diversi pensando: “la tristezza è identica per tutti, il posto che occupa no, tantomeno le possibilità di allontanarla.”
D’istinto dice: “nonna raccontami! Raccontami qualcosa di te, della guerra”.
L’anziana donna si alza. Il peso dei suoi anni per un attimo sembra svanito mentre con un passo che trapela padronanza, quasi sfida, si dirige verso la sua camera e ne torna subito con un cofanetto fra le mani. Gli occhi sono inumiditi, sembrano due oceani in fase di alta marea. Non sono lacrime ma immagini portate a galla dal suo cuore. Con un dolcissimo gesto, come quando si dona qualcosa, porge il cofanetto alla nipote invitandola con lo sguardo ad aprirlo.
La scatola contiene foto e lettere poggiate alla rinfusa ed un piccolo quadernetto dalla copertina sbiadita e sgualcita.
“Ero una ragazza molto semplice. Alla tua età frequentavo una scuola di cucito. Altro che uscire per divertirsi! Durante le lezioni con le altre ragazze riuscivamo a trovare sempre il modo per chiacchierare e parlare dei nostri sogni”.
“Cosa sognavate nonna?” Esclama Lea osservando le poche foto che vede per la prima volta e che le mostrano una ragazza più o meno della sua età. Lea è talmente incuriosita da quelle immagini e dalle parole della nonna da non accorgersi dei continui bip del cellulare che annunciano messaggi. Fino ad allora lo aveva tenuto nervosamente in mano, leggendo furtivamente, poi lo aveva poggiato sul divano. “Piccola mia,” gli occhi di Lucia non sono più umidi ora ma rivelano un velo di gioia mista a malinconia, come quando nel cielo si posa una leggera foschia che lascia intravedere una promessa d’azzurro limpido. “Sognavamo di innamorarci, di poter andare a passeggio per il corso o scendere giù al mare. Di andare a ballare e sentire musica. Sognavamo di sposarci e avere una casa tutta nostra dove crescere i nostri figli. Questi erano i nostri sogni! Riuscivamo, allora, ancora a farli nonostante l’Italia fosse già in guerra. Dopo la dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra l’Italia, alleata con la Germania, era ormai completamente coinvolta. I riflessi della guerra su Lanciano si moltiplicarono velocemente nel 1942 con l’arrivo degli americani a fianco degli inglesi. Molte persone erano state richiamate alle armi. Sul campanile della cattedrale fu installata una sirena di allarme. Dalle case non doveva trapelare luce, così fummo costretti ad oscurare le finestre incollando carta scura sui vetri. Certo, così come non trapelava luce all’esterno non entrava più in casa nemmeno un raggio di sole, che tristezza! Il razionamento dei viveri divenne ogni giorno più stretto ci toccavano sempre più razioni ridotte. La fame si faceva sentire. Anche la distribuzione dell’acqua potabile avveniva a turno per i quartieri.” Lea ascolta con gli occhi sbarrati quel fiume di parole rovesciate dalle labbra della nonna. Lo squillo del cellulare le sottrae entrambe al silenzio sceso come un sipario, segnato dal lungo sospiro della nonna.
“Pronto” la voce della ragazza trapela ansia, sa bene chi la sta chiamando e per un attimo ripiomba nel vuoto della tristezza. Si avvicina alla finestra, osserva malinconica la giornata meravigliosa che è fuori, parla sottovoce guardando di sbieco l’anziana donna che sorridendo le sussurra. “Dai, esci un pò”. Il desiderio è ancora forte e l’invito della nonna incoraggia la tentazione. Ma ormai una strana energia si è impadronita di lei, un’energia che le fa rispondere un secco “No. Sto facendo qualcosa di troppo importante, ciao.” Senza commenti torna a sedersi accanto alla nonna e con un sorriso la invita a continuare. “La situazione nell’estate del ’43 era diventata veramente preoccupante” riprese Lucia. Nei suoi occhi la foschia ora non lascia più trapelare il cielo ma nuvole scure, ricordi tristi. “Il fronte di guerra stava risalendo dal sud in tutta Italia, ovunque si stavano ricreando gruppi antifascisti. Dalla caduta di Mussolini i Tedeschi fecero scendere diverse divisioni delle S.S. che si stabilirono anche intorno a Lanciano; a Villa Paolucci di Marcianese ed a Villa Lanza sul colle della vittoria di Castelfrentano. Poi i carriaggi ed i soldati tedeschi divennero sempre più numerosi e dilagarano in tutta la città. Molti di loro iniziarono a prelevare oggetti dai negozi e dalle case, toglievano ai passanti gli orologi da polso o altri oggetti preziosi. La gente era spaventata per questo stato di cose. Papà decise che era meglio allontanarsi”.
“Nonna cosa succedeva?”
“Gli Italiani avevano firmato l’armistizio con gli alleati. Ora il nemico erano i Tedeschi”.
“Dove siete andati?” Gli occhi di Lea sono come una finestra spalancata dalla quale voler osservare tutto. Ha perfino dimenticato il cellulare sul davanzale della finestra.
“Quel giorno lo ricorderò sempre; toccavo con il cuore la tristezza di mamma e la preoccupazione di papà mentre preparavamo il fangotto.”
“Il fangotto?!” “Era la nostra valigia: un grande lenzuolo dove ciascuno metteva qualcosa per il viaggio e la permanenza. C’era di tutto. Biancheria, qualche provvista, pochi oggetti personali. Mamma mise la foto di mio fratello che era in guerra. Io misi il mio diario.” “Questo?” Lea recupera il quadernetto dalla scatola, lo sfoglia ma non riesce a leggere; le parole della nonna la rapiscono.
“Ci incamminammo furtivi al mattino, molto presto, era ancora buio. La paura di incontrare dei soldati tedeschi era forte, ma il coraggio non ci mancava perché eravamo insieme. Il cammino fu faticoso e pieno di ansia tra le stradine di campagna che ci avrebbero condotto nei pressi di Arielli. Eravamo quasi arrivati. Fra i rami degli alberi papà indicò un casolare bianco.
Dovevamo solo risalire una china prima di arrivare alla piana di fronte alla casa. Era stanco, affannava, con il fangotto che aveva voluto portare da solo sulle spalle. Forse fu il suo stesso sorriso a distrarlo, un sorriso che sapeva di conquista ‘l’averci portato al sicuro’. Inciampò e cadde facendo rotolare a terra il fangotto che aprendosi lasciò sfuggire il piccolo patrimonio che custodiva. L’aiutai ad alzarsi mentre mamma ricomponeva frettolosamente il prezioso fangotto. Al casolare ci aspettavano. Ci accolsero con calore. Avevano preparato il pranzo, verdure di campagna con pizza di farina di granoturco. I giorni successivi trascorsero tranquilli. Il tempo non passava, potevo solo ricamare e cucire. Una mattina sentimmo degli strani rumori. Erano i segnali emessi dai ricetrasmettitori dei tedeschi che da poco erano arrivati nelle vicinanze. Ci avvertì un vicino consigliandoci di stare all’erta anche se sembravano tranquilli. Avevano solo il compito di fare da ponte radio tra i diversi presidi della zona. Ci fu proibito di uscire. Proprio in quei giorni mi accorsi…” silenzio.
“Perché ti sei fermata?” “Lea quello che sto per raccontarti non lo sa nessuno” la ragazza guarda la nonna con aria impaziente e orgogliosa di accogliere un segreto. Lucia prosegue cercando di dissimulare il tremolio della voce. “Mi accorsi che non avevo più il diario. Pensai che di certo era rotolato fra l’erba al nostro arrivo quando papà inciampò. Non potevo dirlo. Non mi avrebbero permesso di uscire ma io lo rivolevo a tutti i costi.”
Lea prende di nuovo il diario fra le mani senza aprirlo. Aspetta un segnale che non arriva.
“La sera si andava a letto presto. Approfittai di quel momento per uscire e recarmi verso la scarpata.” “Non avevi paura?” “Sì, tanta. Ma era una sera molto luminosa, era stata una bella giornata, ho pensato che potevo facilmente nascondermi e trovare il diario. Quando ormai ero nel punto in cui il fangotto era caduto un rumore mi gelò. Era il rumore di passi e di frasche mosse. ‘Un animale!?’ Pensai. ‘O un soldato!?’ Avevo intravisto il diario ma ero terrorizzata e senza guardare mi girai di scatto per fuggire verso casa. Una mano mi afferrò il polso ed un’altra si poggiò con forza sulla mia bocca come a prevenire un eventuale urlo.” Gli occhi di Lucia sono spalancati, Lea legge tutta la paura del ricordo e grida “Nonna cosa…” Lucia prosegue: “era un giovane soldato tedesco, avrà avuto 18 o 19 anni. Mi guardò dritta negli occhi. I suoi, immobili, erano di un azzurro che non dimenticherò mai. Fu un attimo… mentre il suo sguardo mi tratteneva, con uno scatto fulmineo mi divincolai. Fuggii così veloce da giungere a casa senza accorgermene.” Lea emette un sospiro di sollievo. “Entrai in casa cercando di non fare rumore. Ero madida di sudore ma stranamente la paura mi aveva abbandonata. Dalla finestra intravidi l’ombra del soldato ai limiti della scarpata che guardava verso la casa. Poi si girò e andò via. Non mi aveva rincorsa. Ripensai a come avevo fatto a fuggire e capii che in realtà mi aveva lasciata andare.” “E il diario?” Lucia guarda Lea con una dolcezza infinita e dice: “i tuoi occhi azzurri mi ricordano i suoi. Doveva essere un bravo ragazzo anche se tedesco. Non dormii quella notte e fui la prima ad alzarmi. Aprii la porta per guardare se fuori ci fosse qualcuno. Solo i rumori dei ricetrasmettitori nell’aria e davanti alla porta il mio amato diario. Lo raccolsi, era sgualcito ed odorava di erba. Lo aprii e mi accorsi che qualcuno aveva scritto qualcosa sulla prima pagina bianca.” Lea apre il diario mentre la nonna aggiunge “non capivo e non ho mai chiesto a nessuno di leggere. Avevo paura di essere sgridata. Era scritto in tedesco”
“Glaub’ mir, ich wollte dir nicht weh tun. Ich sehnte mich nach einer liebkosung , nur eine
liebkosung. Du erinnerst mich an meine liebste, du siehst ihr so aehnlich, wer weiss, ob ich sie
jemals wiedersehe! Dieser krieg ist so unmenschlich fuer alle! Dieb der jugend, dieb der liebe,
dieb unschuldiger leben. Soldat Franz”
Il cellulare inizia a squillare ma nessuna delle due sembra sentirlo. Lea guarda la nonna con orgoglio e con voce dolce traduce:
“Credimi, non ti volevo fare del male. Avevo bisogno di una carezza, solo una carezza. Mi hai fatto pensare alla mia sposa, le assomigli tanto, chissà se la rivedrò! Questa guerra è disumana per tutti! Ladra di giovinezza, ladra di amore, ladra di vite innocenti . Soldato Franz”
Il cellulare continua a squillare ma l’eco di quelle parole nell’abbraccio di Lucia e Lea suona più forte.

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