“San Gennà pensaci tu!”

Continuiamo la pubblicazione delle opere vincitrici del Premio Clepsamia 2019. Oggi è la volta di Imma Borzacchiello che si è classificata quarta ex aequo con il saggio “San Gennà pensaci tu!”. Buona lettura!

San Gennà pensaci tu!”: La storia del santo tra fede e folklore

San Gennaro e la città di Napoli sono due facce della stessa medaglia, non esisterebbero l’uno senza l’altro. Il patrono della città non è solo un santo protettore a cui appellarsi per ricevere un miracolo, ma è una vera e propria ancora di salvezza a cui aggrapparsi, un amico, un confidente, uno di noi: un partenopeo. Massimo Troisi nel celebre sketch comico con Lello Arena, parla al santo chiamandolo “Gennà”, usa un nomignolo affettuoso per rivolgersi a lui come se fosse un amico e questo lascia intendere molte cose. A Napoli, tutto è vissuto alla massima intensità, così come la spiritualità e San Gennaro, non poteva solo essere un’entità da venerare, da pregare. La devozione è così forte che si incorre nel misticismo, in quella dimensione sospesa tra cielo e terra che lega morti e vivi, santi e semplici uomini. Sono tutti accomunati da un’unica appartenenza, sono tutti napoletani. A Napoli c’è un modo tutto particolare di denominare le cose, bonariamente, il santo viene chiamato dai napoletani veraci anche “faccia gialla” rifacendosi al colore bronzeo del volto della statua portata in processione. Senza ombra di dubbio, quello tra la città partenopea e il santo è un rapporto di amore e fede unico al mondo, testimonianza dell’intensa e sentita religiosità di un popolo che dura ininterrottamente da sedici secoli.

Sono oltre 25 milioni, i devoti sparsi in tutto il mondo, in base a quanto stimato dal Vaticano. Il 19 settembre di ogni anno, infatti, a New York, a San Paolo del Brasile, a Los Angeles, a Chicago, a Rosario in Argentina, a Toronto, a Melbourne, a Sidney e in tantissimi altri posti anche meno conosciuti, è attiva la processione per san Gennaro e la diffusione di tale portata del culto è dipesa dal più grande esodo della storia moderna, l’emigrazione di fine Ottocento. Non è da dimenticare poi, che le vicende politiche di Napoli e il suo esser stata grande capitale europea di un regno, situata in un punto strategico del Mediterraneo, oltre che la propensione naturale di essere culla di arte e cultura, hanno inciso profondamente sulla conoscenza di san Gennaro nel mondo.

Per non parlare del leggendario tesoro d’arte orafa accumulato nell’arco di sette secoli grazie a donazioni di papi, re, imperatori, aristocratici ma soprattutto del popolo che affidava alla sua protezione la propria vita. Tutto è esposto presso il Museo del Tesoro di San Gennaro a Napoli che custodisce 21.612 ex voto, gioielli e oggetti preziosi. Una curiosità sul Tesoro ci è data dall’episodio che vide protagonista la regina Maria Josè, moglie di Umberto II di Savoia che nel 1933 si trovò a visitare la Cappella di san Gennaro in forma privata e non avendo portato con sé nulla da donare, si sfilò l’anello che indossava, come offertorio.

Il santo però secondo la storia, una storia che unisce realtà e leggenda popolare, nasce a Benevento probabilmente intorno al 272 d.C. e non a Napoli e proprio questa cosa ha dato vita a una lunga serie di diatribe e rivendicazioni della sua protezione ma si sa, non importa dove nasci se hai un popolo così caloroso che ti adotta e ti accoglie.

La sua biografia è sconosciuta, come per tanti “martyres inventi”, cioè “ritrovati” tra il IV e il V secolo, ma la recente ricerca agiografica ha individuato alcuni elementi certi dell’identità storica e spirituale del martire; per esempio, nei documenti rinvenuti, trova riscontro la data della sua morte, avvenuta nel 305 d.C. e la causa è resa nota da diverse testimonianze. La più antica “Passione di san Gennaro”, gli “Acta bononiensia” (sec. VI), lo presenta come vescovo di Benevento martirizzato sotto Diocleziano; durante le persecuzioni cristiane, il santo insieme al diacono Festo e al lettore Desiderio si recò nell’antica città di Miseno vicino Pozzuoli, per dare conforto al giovane diacono Sossio imprigionato perché cristiano ma furono anch’essi arrestati per lo stesso motivo. Davanti al giudice della Campania, gli arrestati si rifiutarono di sconfessare il loro credo e furono condannati a morte: decapitati presso la Solfatara, un vulcano attivo di Pozzuoli. Si racconta che mentre i condannati raggiungevano il luogo dell’esecuzione, il diacono Procolo e due laici, tutti di Pozzuoli, protestarono per la sentenza e furono anch’essi arrestati e condannati a morte.

Le ossa di san Gennaro hanno subito molte vicissitudini fino a quando, dall’Abbazia di Montevergine furono portate a Napoli dove sono ancora oggi custodite nella Cripta sotto l’altare maggiore del Duomo.

La cosa che però affascina di più di questo santo e che permette al popolo napoletano di sentirsi ancora più sicuri della concretezza della loro fede è il misterioso scioglimento del sangue, a cui la città affida il suo eterno legame al folklore e al misticismo. Tre sono gli appuntamenti che vedono le ampolle con il sangue, protagoniste, ossia il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19 settembre e per tutta l’ottava delle celebrazioni in onore del patrono, e il 16 dicembre, giorno in cui, secondo il credo, grazie all’intercessione del santo cessò l’eruzione del Vesuvio del 1631. Un’ampolla è riempita per tre quarti, mentre l’altra è semivuota poiché parte del suo contenuto fu sottratto da re Carlo III di Borbone che lo portò con sé in Spagna. Dalla liquefazione del sangue dipendono le sorti della città; un fatto che va a sottolineare l’unione inscindibile tra fede e superstizione che accompagna Napoli: se il miracolo avviene, è sintomo di buon auspicio, altrimenti si prospettano cattivi presagi.

Diverse testimonianze raccontano che fu una donna (Eusebia), a raccogliere il sangue durante il martirio.

La prima notizia storica della liquefazione è data da un cronista medievale nel “Chronicom siculum”, che il 17 agosto 1389 annota, con stupore, il fenomeno singolare descrivendo l’accaduto così: “come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo”.

Dopo la prima manifestazione del miracolo, il culto di san Gennaro raccolse sempre più fedeli e per rendere omaggio al patrono, nel 1497, le reliquie e le ampolle furono traslate dalle catacombe e collocate all’interno di una nuova cripta costruita sotto il presbiterio della cattedrale di Napoli. La devozione si rafforza così tanto che nel 1527 la città di Napoli decide di fare un voto a san Gennaro: il popolo, in cambio di protezione dai flagelli della natura, avrebbe costruito una nuova sede per il reliquiario del sangue. Nel 1608, sotto la supervisione della Deputazione, (l’organizzazione laica che ancora oggi si occupa di promuoverne il culto e custodire le reliquie e il tesoro), inizia quindi la costruzione della Real Cappella che terminerà nel 1646,

Sul miracolo sono state fatte tante congetture, si è anche cercato di dare una spiegazione scientifica, parlando del processo di tissotropia. Dal canto suo, la Chiesa non ha mai acconsentito al prelievo del liquido sostenendo che un’analisi invasiva avrebbe potuto danneggiare sia le ampolle che il liquido e per questo durante il Concilio Vaticano II, decise addirittura di non festeggiare più san Gennaro, ma la caparbietà di un popolo che ama il suo protettore ha fatto sì che fosse mantenuto il culto. A riprova di questo grande amore, c’è la testimonianza di una mistica, Elena Diena, che ha 67 anni e da tempo dice di possedere un dono eccezionale: quello di canalizzare messaggi scientifici e spirituali proprio attraverso le onde presenti nell’atmosfera. Vive sulle alture di Chiavari, in Liguria e in un’intervista ha rivelato di aver avuto un contatto proprio con san Gennaro e il messaggio che le ha lasciato è per i napoletani:

“Il mio sangue si è sciolto una volta sola e si scioglie solo una volta all’anno, gli altri scioglimenti non lo so. Non sono un santo buffone, il Signore mi ha reso santo perché io ho sempre fatto la sua volontà, sono stato sempre attento alle vie di Dio. Io non mi sono aggrappato a Dio per paura o per scopo; sono sempre stato vicino a Dio perché Dio era già in me prima di tutti i tempi, perché lui è sempre esistito, perché lui è l’Eterno. Dovete capire che il sangue in quell’ampolla è sangue di Cristo perché questo evento lo rende possibile Cristo, non io, per darvi ancora una volta la visibilità della sua materializzazione e la sua smaterializzazione, quella che subì nella sua Passione in croce. Perciò siate coerenti, non date ai figli di Dio delle falsità, non servono, fate vedere le cose che accadono realmente perché Dio vede e sa! Ai miei fratelli napoletani e a tutto il mondo devo dare questo messaggio: Il mio sangue è la coerenza in Cristo perché Dio abbinato a Gesù Cristo e al Santo spirito vuol farvi capire che in lui niente muore perché il suo spirito può tutto! Il suo spirito è in tutti noi, non lasciate mai la via del bene perché è l’unica cosa che vi porterà a vivere eternamente nella luce della sua anima eterna. Ricordatevi tutti che Dio esiste davvero”.

Insomma, si può credere oppure no, si può essere religiosi, devoti, cristiani ma anche atei o assolutamente fedeli solo alla scienza, ma il culto di san Gennaro va molto al di là. A Napoli le categorizzazioni non esistono, non è tutto bianco o nero; mille sono le sfumature della vita e anche della morte e l’attaccamento al patrono è simbolo di appartenenza. Tutto questo tocca le corde dell’anima dei sensibili, di chi ci spera contro ogni logica perché è sempre lì che pensa alla possibilità di un mondo migliore e se non accade, pazienza!

Parafrasando lo scrittore Erri De Luca, il destino per definizione è un percorso prescritto, per chi nasce a Napoli è un punto di partenza, è provenire da lì e te lo porti dietro: è per metà zavorra e per metà salvacondotto. Ecco, san Gennaro è il mezzo di questo processo di vita, radicato nell’anima e nell’identità.