Giancarlo (Edoardo)

Pubblichiamo oggi il racconto secondo classificato assoluto nella Sezione Narrativa: Giancarlo (Edoardo) di Vincenza Precone.

Giancarlo (Edoardo) di Vincenza Precone

Mi chiamo Giancarlo, non confondetemi con mio fratello Edoardo. Siamo gemelli monozigoti, ma siamo molto diversi. Edoardo è perfetto, io sono la sua copia fenotipica sbiadita. Lo amo, non fraintendetemi, ma siamo diversi. Una volta ho letto che l’epigenetica influisce sull’essere più della genetica, non ne ho dubbi.
Stamattina mi sento comodo, indosso la mia solita tuta e mi sento me stesso. Ora che ci faccio caso, è della stessa tonalità di grigio della sedia dell’autobus su cui sono seduto. È da più di un’ora che sono su questo autobus a seguire con lo sguardo lo stesso percorso per tre volte di seguito, ormai la zona ospedaliera non ha più segreti per me. Non sono pazzo, così riesco a riflettere tranquillamente e, poi, dovrò pur passare il tempo in qualche modo. A volte cambio autobus, per dare uno scenario diverso ai miei pensieri. Quella che preferisco è la linea 151, dalla Marina a via Acton. La fermata che mi piace è quella che mi permette di vedere il Maschio Angioino. Il castello medievale e rinascimentale, che è il simbolo di Napoli, mi conferisce un senso di forza, vigore. È una delle poche cose che riesce a farlo. Da bambino mi affascinava la leggenda secondo cui in una delle due prigioni, la prigione del Miglio, ci fosse un coccodrillo che divorasse tutti i malcapitati. Immaginavo di mandare mio padre in quella prigione e che i coccodrilli lo sbranassero, ogni volta che mi faceva notare quanto Edoardo fosse più bravo di me in ogni cosa. Ecco, il mio più grande sogno era diventare il guardiano di quella prigione. Invece, mi ritrovo qui, ogni giorno su questo o un altro autobus.
Non ho un lavoro, però ho una laurea. Ho studiato per più di quindici anni alla facoltà di Economia e Commercio dell’ Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Successivamente, mia madre ha deciso di farmi seguire una corsia preferenziale, facendomi laureare ad un’ università privata. Che brava donna! Ha sempre cercato di ovviare alle mie mancanze. Anche Edoardo è laureato: in Fisica, con lode e plauso della commissione. Sono contento per lui. Edoardo ha anche un lavoro. Stamattina l’ho incontrato mentre andava ad un congresso internazionale, era elegantissimo nel suo abito gessato. Non so come faccia la moglie, con un lavoro e due bambini neonati, a garantirgli una mise sempre perfetta. Io non ho né una moglie né una fidanzata, però sono stato innamorato molte volte.
Mi piacciono le donne, nonostante nel palazzo in cui vivo si mormori che non sia così. Poi, la gente si lamenta perché cammino con il capo abbassato e non parlo e non saluto nessuno, neppure nell’ascensore. La gente dovrebbe riflettere, c’è sempre una spiegazione. A tutto.
Mio padre crede a loro, e quando lo fa vorrei spaccare il vetro della bacheca della sua collezione di pistole da caccia. Non per spararlo. Per farlo soffrire, come lui fa soffrire me. Ovviamente, è solo un pensiero, non lo farei mai.
La prima donna di cui sono stato veramente innamorato si chiama Angela. La conobbi al primo anno di università, la ricordo ancora in tutta la sua bellezza: bionda, occhi verdi, minuta, eterea.
Angela mi sedeva sempre accanto durante le lezioni di economia, mi offriva la sua merenda a base di frutta e yogurt, mi sorrideva. Io, in cambio, la ascoltavo. Le piaceva parlare di sé stessa, dei suoi problemi quotidiani, dei suoi amori sbagliati, e le piaceva essere ascoltata da me. La pazienza e la dedizione sono state sempre delle mie grandi doti, per cui l’accompagnavo ovunque con l’automobile perché lei non aveva la patente. Per renderle più agevole lo studio, le registravo e sbobinavo tutte le lezioni in aula, lei mi era grata e mi invitava sempre a casa sua per studiare. Eravamo molto affiatati, ed io mi sentivo felice. Angela ne era consapevole e mi ripeteva sempre che tra noi mancava solo il sesso. Speravo, aspettavo, ma il sesso tra noi non c’è mai stato. Durante le vacanze estive lei conobbe l’uomo “giusto” e si fidanzarono ufficialmente. A volte mi telefona per raccontarmi i suoi problemi, anche con il suo fidanzato, ormai storico. Io continuo ad ascoltarla.
Mio padre mi urla contro, costantemente, dice che devo trovare una donna, oltre che un lavoro. Però quando lo scorso anno gli ho presentato una ragazza cubana conosciuta in una chat su internet è impazzito di rabbia. Non tollera l’unione con una donna povera, di un’altra nazionalità e con un figlio. Non lo capirò mai. Io amo mio padre, è lui che non mi ama. Mia madre è molto più delicata e meno plateale di lui, ma sento che anche lei soffre per me e mi vorrebbe diverso. Cerca di stringere sempre nuove amicizie e, guarda caso, sempre con donne che hanno figlie di un’ età compatibile con la mia. Non ho un brutto aspetto: sono alto, snello, bruno, ho occhi scuri e penetranti. Però è tutto vano. Non vuole capirlo, rassegnarsi. Io non sono Edoardo.
Talvolta si confonde, e mi chiama Edoardo. Non succede mai il contrario, ad Edoardo permane sempre il suo nome. Vorrei chiamarmi Edoardo.
Alcuni ricordi sopraggiungono nella mia mente, fulminei, e spero fugaci.
Scorgo Edoardo ed io bambini. Eravamo in automobile, sul lato posteriore. Cantavamo. Edoardo ricordava le parole dei testi di tutte le canzoni. Io no. C’era sempre qualche parola che volava via dai miei pensieri, in una nube. Frugavo, invano. Mia madre si esaltava per le nostre canzoni cantate a squarciagola. Mio padre no, si concentrava su di me. Mi facevano rabbrividire i pugni che batteva contro il volante. “Sei sempre indietro Giancarlo. Sempre!” tuonava. Io provavo a recuperare con il testo di una nuova canzone, ma era tutto inutile. Piangevo. E più piangevo, più lui urlava, tra le lacrime di mia madre che mi faceva compagnia nella disperazione. Edoardo non interveniva mai. Non ho mai capito se lui fosse più mortificato o orgoglioso per le situazioni che si venivano a creare. Dicono che esiste un’unione particolare tra i gemelli monozigoti, perché hanno lo stesso DNA. Un’unione forte è importante, soprattutto nel mio caso che non ho molti amici. Angela è mia amica. Edoardo, invece, è stato sempre circondato da molti amici.
Un altro ricordo sopraggiunge, ad offuscarmi. Eravamo a Procida, sulla spiaggia della Chiaiolella. Spesso i nostri genitori ci portavano lì. La  costa è caratterizzata da fondali bassi, ideali per i bambini, ed è lunga, molto lunga. Da essa è possibile godere di un panorama unico sull’isolotto di Vivara, lo ricordo bene, nonostante avessi solo quattro anni. Mi piaceva incamminarmi lungo la riva, una volta mi allontanai troppo. Ho solo ricordi confusi, ricordi di un bambino. Però ricordo bene quello che mi fece mio padre quando mi trovò: ho ancora una cicatrice sul braccio.
Chissà se allora mio padre avrebbe mai immaginato che accanto a lui, durante la sua malattia, ci sarei stato io e non Edoardo. Edoardo è troppo impegnato: ha il suo lavoro, la famiglia, gli hobbies. Io no, sono quello che non ha nulla da fare. Sono quello che l’amore e le attenzioni può darle. Tre anni fa a mio padre è stato diagnosticato un cancro al colon, già al terzo stadio. Ho l’automobile, ho potuto accompagnarlo ovunque. Gli sono stato vicino durante le degenze per gli interventi, giorno e notte. Gli sono stato vicino durante i cicli di chemioterapia, ho raccolto anche il suo vomito. L’ho accarezzato ed amato, insieme a mia madre. Eppure, i suoi occhi come splendevano alla vista di Edoardo durante le sue visite fugaci! Dieci minuti, non di più. Lui è molto impegnato.
Mi ha fatto soffrire mio padre, tutt’ora soffro.
Per più di trent’anni ho immaginato mio padre morire, e tre notti fa è successo.
Cosa è cambiato? Sono ancora su questo autobus.

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