Voglia di volare

Continuiamo la pubblicazione dei migliori racconti per ragazze e ragazzi, la nuova sezione del Clepsamia. Ecco il racconto 2° classificato: Voglia di volare di Giordano Vezzani.

Voglia di volare

Le crisalidi avevano cambiato colore e si muovevano con degli scatti improvvisi. Quello era il primo segnale che presto la mutazione avrebbe restituito al mondo una splendida farfalla.
Bird si incantava a vedere come quegli insetti stessero pazienti a testa in giù a dispiegare le loro grandi ali dai colori dell’arcobaleno. Lei le aveva osservate fin da quando erano piccoli bruchi, così voraci da divorare tutte le foglie del suo ramo.

– Dove vado io adesso? – gridava ogni volta.
Non che a lei piacessero le foglie. Che se le mangiassero pure tutte. A lei piacevano altre cose. Però a causa loro le toccava spostarsi di ramo in ramo, sempre che non arrivassero anche lì. Dove passavano quegli esserini famelici non restava più nulla. E più mangiavano e più crescevano. Poi finalmente, quando diventavano grasse come porcellini pelosi a strisce colorate, si appendevano a testa in giù come fanno i pipistrelli e si irrigidivano come tanti minuscoli baccalà. Si erano costruite un’armatura impenetrabile, la crisalide.
Quando si staccavano per la prima volta dal loro nascondiglio Bird le ammirava incantata. Si libravano nell’aria, senza saper bene da che parte andare, come la gioia di vivere volesse portarle da tutte le parti nello stesso momento. Lei, invece, restava sempre lì sui rami di quell’albero a sospirare, mentre guardava il cielo sempre diverso. Solo le giornate sembravano essere sempre le stesse e non passavano mai, ora che anche le farfalle se ne erano andate chissà dove.
L’unica sua distrazione era diventata il cibo. Intorno a lei ce n’era in abbondanza, dolce e succoso. Non si esauriva mai. Ce n’era sempre di nuovo a disposizione. Cresceva e si moltiplicava. Non faceva in tempo a ripulire un ramo che in breve ne era già ricoperto. Più si sentiva infelice e più mangiava. E naturalmente ingrassava.
Le zampe cominciavano a piegarsi sotto tutto quel peso. Doveva fare qualcosa. Ci voleva del moto. Di correre nemmeno a parlarne. Avrebbe invece scalato un albero, magari il più alto di tutti. Lassù avrebbe toccato il cielo e visto il mondo dall’alto. Si sarebbe illusa di essere sospesa nell’aria e di volare, proprio come le farfalle.
Bird chiese a tutti quelli che incontrava di indicarle l’albero più alto del bosco. Le formiche le dissero che le loro regine si tramandavano una leggenda sul vecchio tasso, che ritenevano immortale e che aveva poteri miracolosi, tanto che anche gli uomini lo adoravano da sempre. Gli portavano collane di fiori, nastri colorati e infilavano richieste di aiuto e desideri tra la corteccia scagliosa. Di certo era tanto alto che non se ne vedeva la fine.
Anche se trovarlo non fu un problema, si rese conto di essersi messa in una bella impresa. Però che fatica doversi arrampicare! Per fortuna Bird era fornita di sei zampe robuste, perciò non si scoraggiò a scalare il tronco del più vecchio albero del bosco. Bastava non avere fretta.
Dopo molto tempo e purtroppo senza tutto quel bel cibo che aveva a disposizione sull’arbusto, la nostra coraggiosa amica raggiunse i rami in vetta al tasso, il quale per tutto il tempo continuò a osservarla con curiosità. Non lo faceva perché rappresentasse una minaccia, dato che un essere così piccolo non poteva che apparirgli insignificante, ma perché ogni occasione era buona per distrarsi dalla noia mortale che accomuna tutti gli esseri immortali.
La vista lasciò Bird senza fiato e le fece girare la testa per la vertigine, ma il vento che le accarezzava le escrescenze della pelle le diede forza. Si riprese subito perché se si fosse lasciata andare, allora sì che avrebbe fatto un bel volo e chissà per quanto tempo, ma poi sarebbe andata a sfracellarsi da qualche parte laggiù in fondo.
Si beava di tutto quell’incanto, non sapendo da che parte volgere l’attenzione, tra uccelli che giocavano tra i rami, scoiattoli che si infilavano di corsa nei loro nidi e insetti che si lasciavano trasportare dalle correnti. Chissà, forse anche le farfalle sarebbero volate lassù!
Mentre si trovava assorta nei suoi pensieri più belli, Bird sentì dei lamenti provenire da un ramo più basso. Incastrato tra una serie di rametti ricoperti di corti aghi, si trovava un aquilone rosso.

– Sei tu che ti lagni? – chiese all’aquilone.

– Sì, per forza, guarda in che guaio mi sono messo. Lo vedi, il filo si è attorcigliato ai rami e sono prigioniero qui ormai da giorni. Temo che se dovesse piovere per me sarebbe la fine. La carta si inzupperebbe e si frantumerebbe. La colla cederebbe e di me non resterebbe più nulla.

– Un bel guaio davvero! – commento Bird, seriamente toccata dalla sorte infelice dell’aquilone – Hai chiesto aiuto agli scoiattoli?

– Sì, l’ho fatto, ma mi hanno risposto di essere troppo occupati a riempire i nidi di provviste e che avrei dovuto aspettare. Intanto ogni volta che passa una nuvola io tremo.

– E cosa mi dici degli uccelli? Ce ne sono tanti qui intorno.

– Be’, subito sembravano interessati al filo ingarbugliato perché era perfetto per i loro scopi, ma poi hanno preferito beccarmi via gli anelli di carta colorata, che per i nidi erano anche più soffici. Lo vedi come sono tutti sfrangiati? Ho la coda ridotta a un moncherino.

– Sono davvero dispiaciuta per te.
Bird aveva un cuore grande ed era sincera nel provare un sentimento di simpatia per lui.

– Posso fare qualcosa per te? – chiese, pur sapendo di essere così piccola da essere di scarso aiuto.

– Sì, potresti provare a rodere il filo di lino che mi tiene prigioniero.

– Ci proverò – rispose Bird – ma intanto che lo faccio ti pregherei di raccontarmi di cosa si prova a volare. Io ho sempre desiderato spiccare il volo come tutti quei fortunati che hanno le ali. Purtroppo non sembra il mio destino.
Il vecchio tasso ascoltava. Realizzare i sogni era la sua specialità e questo desiderio non pareva neppure troppo irrealizzabile. Anzi, per niente. Sarebbe bastato aspettare.

– Oh, sapessi! – cominciò a dire l’aquilone, mentre Bird sgranocchiava quel filo che dopotutto non era neanche male, con la fame che si ritrovava – Sentire la forza dell’aria, che ti spinge verso l’alto, sempre più in alto, sino perdersi fin dove il filo te lo consente, è una sensazione bellissima. è allora che ti viene voglia di buttarti giù, a capofitto, e girare su te stesso con spirali sempre più larghe, per riguadagnare di nuovo l’altezza, lassù dove le rondini ti vengono a salutare.
Bird era presa totalmente dal racconto e, quando era in quello stato, l’appetito le aumentava a dismisura. Più fantasticava dietro alle parole dell’aquilone e più mangiava il filo di lino. Fino a che il prigioniero fu libero.
Anche se il filo non era più un problema, restavano sempre i rami a incastrare l’aquilone. Per quello Bird poteva fare ben poco e chiamare in soccorso gli animali del bosco non sembrava la soluzione, tanto erano presi dai loro egoismi famigliari. Provare a sfoltire un po’ di quegli aghi non portò a niente. Erano troppi per un essere così minuto e oltretutto le foglie del tasso erano pure velenose per Bird, la quale cominciò a tossire e a sputacchiare qua e là.
A vederla fare tutte quelle boccacce il tasso rise a crepapelle e così scosse così forte i rami che l’aquilone ne venne liberato.

– Ora andate, forza! – disse continuando a ridacchiare.

– Vuol dire che ti posso salire sulla schiena e che possiamo andare via da qui? – chiese Bird rivolgendosi all’aquilone.

– Sì, sali, presto e reggiti forte! Ora ci vorrebbe solo un bel colpo di vento.
La ventata auspicata dall’aquilone non ci fu, ma al tasso non costò alcuna fatica darsi un piccolo scrollone, anche se dai nidi tutti i pulcini rischiarono di volare di sotto. L’aquilone si staccò lento dall’albero e scese pochi rami più in basso, dove la corrente ascensionale lo ricacciò in alto. Per un po’ girarono intorno al grande tasso, salendo sempre di più con spirali crescenti.
Bird si teneva ben aggrappata alla carta dell’aquilone: un puntino nero su un mare di rosso. Ogni volta che quello faceva una virata in picchiata, chiudeva gli occhi e tratteneva il respiro, ma subito dopo li riapriva perché non voleva perdersi nulla della meraviglia di quel volo. Lassù lo spazio era immenso, ma laggiù tutto sembrava minuscolo, persino più piccolo di lei.
Poi lentamente il vento diminuì di intensità e quello che restava delle code sbatté e si agitò con sempre meno vigore, sino a che l’aquilone fece un lungo giro, planando e scendendo di quota. Alla fine toccarono terra, anzi l’erba di un bel prato fiorito di margherite gialle.
Bird non stava più nella pelle, o qualunque cosa avesse addosso, e cominciò a lanciare grida di gioia.

– Hai capito adesso che cosa intendevo? – l’aquilone era anche lui eccitatissimo per essere di nuovo vivo.

– Certo ed è stato anche più bello di qualsiasi descrizione uno ne possa fare – rispose Bird piena di entusiasmo.
I loro convenevoli furono interrotti in seguito dall’arrivo di un bambino, tutto eccitato, perché era il proprietario dell’aquilone. Ormai non sperava più di recuperarlo ed era impazzito dalla gioia quando lo aveva riconosciuto. Bird fece appena in tempo a saltare sull’erba prima che il suo amico venisse portato via. Presto sarebbe stato aggiustato e sarebbe tornato a volare nei cieli, ancora più bello di prima. Fecero appena in tempo a salutarsi.

– Ti prometto che ci rivedremo! – le gridò l’aquilone.

– Sarebbe bello – gli urlò dietro Bird e un po’ ci credette davvero.
La via del rientro fu faticosa perché si erano allontanati parecchio, ma alla fine Bird ritrovò la sua casa, cioè l’arbusto dove era nata e dove vivevano anche parecchi suoi fratelli e sorelle. Per prima cosa lei fece una gran scorpacciata di quel cibo che a casa sua non mancava mai e poi si riposò, perché ne aveva tutto il diritto.
Bird dormì di un sonno profondo, come mai era stato prima, e quando si risvegliò ebbe una sensazione sgradevole. Ho dormito troppo, pensò. Ecco perché ora sono anche più stanca di quando mi sono messa a dormire e perché faccio fatica a muovermi. Ma le si era appannata anche la vista e, per quanto si sforzasse, non riusciva a vedere bene. Che mi sta succedendo? Non sarà perché ho volato, perché ho voluto fare una cosa che a quelli come me è proibito? Bird non poteva credere a quello che le stava succedendo. Si sentiva stringere da tutte le parti, come quando sei costretto a indossare un abito di diverse taglie più piccole della tua. Poi senza volerlo mosse la zampa di fronte a sé con forza.
Come una tenda che si apre, il velo davanti agli occhi si dissolse e Bird poté vedere una giornata splendente di sole davanti a sé. Adesso ci vedeva benissimo. Si agitò istintivamente per liberarsi di tutto il fastidio che la costringeva e la ingoffava in un abito non suo. Meglio nuda, pensò insofferente di quella cappa fastidiosa che ancora l’avvolgeva.
Alla fine riuscì a togliersi tutto di dosso e sentì il bisogno di riposare ancora un po’. Con gli occhi socchiusi guardava il cielo e ripensava a quanto era stato bello. Lei aveva volato!
Le passarono davanti degli insetti che la invitavano a muoversi.

– Dai salta su! – le dicevano.
Come salta su, che cosa significa? Le volavano intorno con piccoli voli e le si fermavano accanto. Non erano leggeri come libellule. Le sembravano un po’ sgraziati e pesanti come i maggiolini, però volavano.

– Allora, ti vuoi decidere? – le disse uno che sembrava prendersi troppa confidenza – Non ci riconosci, siamo la tua famiglia.

– La mia famiglia?
Era confusa e turbata, ma una gran spinta di una delle sorelle la scaraventò fuori dal ramo e così Bird scoprì una cosa meravigliosa: sapeva volare. Insieme a tutte le altre si diresse verso la luce del sole per il primo volo inaugurale.
Le sue ali non erano speciali, ma quando le richiudeva dentro ai loro scrigni ne era molto orgogliosa.
Bird aveva proprio ragione a esserne compiaciuta, perché la custodia rossa con sette macchioline nere disposte in modo tanto perfetto la facevano sembrare la più bella coccinella del bosco.