VIAGGIO TRA REALTÀ E FALSI MITI, QUANDO IL MONDO DELLE “SOSTANZE” INCONTRA QUELLO DELL’ARTE E CULTURA OCCIDENTALE.

Proseguiamo con la pubblicazione dei saggi vincitori. Oggi è la volta VIAGGIO TRA REALTÀ E FALSI MITI, QUANDO IL MONDO DELLE “SOSTANZE” INCONTRA QUELLO DELL’ARTE E CULTURA OCCIDENTALE., il saggio di Alessandro Porri, classificatosi al 2° posto nella sezione Articolo/Saggio breve.

VIAGGIO TRA REALTÀ E FALSI MITI, QUANDO IL MONDO DELLE “SOSTANZE” INCONTRA QUELLO DELL’ARTE E CULTURA OCCIDENTALE

Autore Alessandro Porri

La mia esperienza lavorativa ultratrentennale nella cura delle dipendenze e la mia passione per le arti da sempre hanno stimolato in me la voglia di trovare linee di contatto tra questi due mondi che apparentemente appaiono distanti tra di loro. Questo è un viaggio “schizofrenico” alla ricerca di curiosità, di fatti insospettabili, di fotogrammi di vite legati ad un tempo ed uno spazio ben preciso che solo apparentemente pensavamo di conoscere a fondo. La pittura, la letteratura, la musica sono questi gli ambiti che andremo a trovare con una lente d’osservazione diversa dal solito muovendoci con assoluto rispetto ed in punta di piedi. Analizzeremo queste tre arti separatamente anche se come spesso accade nella vita le cose, specie quelle umane si toccano si fondano tra loro divenendo inseparabili, ecco che scopriremo come Eugenio Finardi prende ispirazione per la sua “Scimmia” dal libro di William Burrougs, “La scimmia sulla schiena” o come la folle arte di Andy Warhol disegnerà alcune tra le copertine dei dischi più famose della storia come quella di Sticky Fingers dei Rolling Stones o la famosa banana sexy del primo album dei Velvet Underground di Lou Reed. Quelli che ho scelto in questo articolo sono naturalmente solo una piccolissima parte dei punti che avremo potuto analizzare sull’argomento, spero servano da stimolo a solleticare la nostra curiosità perché come spesso accade nelle cose della vita non tutto è in realtà come sembra apparire.

È convinzione di molti che tra arte e droga esista un forte connubio. L’artista, secondo un luogo comune, accoglie in sé il binomio “genio e sregolatezza”. Ovviamente, ciò non significa che chiunque si occupi di arte faccia spasmodico e generalizzato uso di droghe o stupefacenti, tuttavia è risaputo che l’uso di droghe nella produzione artistica di ogni tipo, arte visiva, musica, letteratura, pittura, ecc. non è un qualcosa di insolito né irrilevante specialmente in alcuni contesti.

Secondo taluni esperti, l’assunzione di droga, nel mondo artistico, trova la sua “giustificazione” nella possibilità di trarre particolari vantaggi, seppure innaturali, quali ad esempio il potenziamento della capacità percettiva (mentale) e l’amplificazione delle capacità sensitive (sensoriali), confluendo il tutto, nel prodotto artistico.

Allentare i freni inibitori, liberare la creatività dalle trappole del razionalismo.

L’uso delle droghe nel campo artistico è mutato molto spesso in base al periodo storico rincorrendo, rispondendo o rifiutando la società del momento.

Alla fine dell’‘800, in epoca romantica, la droga più diffusa tra gli artisti era l’assenzio. Di essa facevano uso, in particolare, gli artisti romantici, incompresi dalla società e oppositori dei valori borghesi, è la droga degli impressionisti, di Manet, Monet, Renoir, Degas, Gauguin, Van Gogh, Picasso ecc. Nel 1915, dopo avere assunto le caratteristiche di una vera e propria piaga sociale, l’assenzio viene proibito per legge. Negli anni ’20, invece, nella Louisiana e in particolare nella New Orleans nera, era molto diffusa la marijuana, diffusione che coincide con la nascita della musica jazz.

Come non citare negli anni 50 gli artisti dell’espressionismo astratto e poco dopo quelli della beat generation legati all’uso degli allucinogeni per arrivare a cavallo degli anni 70 /80 dove il rock, padre di tanti sottogeneri musicali, si caratterizzò con l’uso spesso devastante dell’eroina.

ARTI GRAFICHE E PITTURA

Tra le diverse correnti di pensiero, l’impressionismo, secondo taluni, è quello con il quale maggiormente è possibile riscontrare un sistematico connubio con la droga. Il movimento impressionista si sviluppò a Parigi intorno al 1860. Caratterizzato dal rifiuto dei soggetti storici e religiosi e l’interesse a cogliere gli aspetti della realtà circostante. Paesaggi naturali popolati da gente comune ritratta nella propria attività quotidiana, semplici immagini senza filtri di ciò che accadeva a Parigi in quegli anni.
Bisognava evadere dalle regole dell’arte ufficiale e dalle scuole d’arte, la prospettiva era usata in modo assai diverso. Molti pittori del tempo non lavoravano in uno studio ma all’aperto con l’intento di rappresentare la realtà così come la vedevano, cogliendone solo l’impressione generale. Non si soffermavano sui dettagli e non aggiungevano le proprie emozioni e le proprie considerazioni. Le pennellate rapide davano un senso di istantaneità, quasi fosse una foto viva, rapidi tocchi di colore, studio della luce, creavano delle vibrazioni che davano l’impressione di un movimento.

Gli artisti di questo movimento si riunivano spesso presso dei caffè, per parlare discutere e “pensare” le loro opere, era spesso qui che si consumava il rituale dell’assunzione dell’assenzio. L’assenzio è un arbusto alpino, di colore verde argentato/olivastro, usato in erboristeria per le sue proprietà toniche, antisettiche e vermifughe. L’artemisia absinthium veniva distillato spesso insieme a finocchio o melissa per lenire il suo forte sapore amaro.

Sono davvero tanti i pittori di quel periodo che hanno abusato di questa sostanza e a cui hanno dedicato una o più opere. Il rituale tutto particolare con cui si assumeva questa sostanza era così diffuso nei locali del tempo che praticamente faceva parte della vita di tutti i giorni e quindi andava immortalato nella sua naturalezza.

L’ASSENZIO DI EDGAR DEGAS

In questa opera del famoso pittore dal titolo proprio “L’assenzio” lei è una povera prostituta, abbigliata in modo pateticamente lussuoso mentre lui è un corpulento barbone parigino. I personaggi sembrano lontanissimi fra loro, con lo sguardo personel vuoto, annebbiato dalla moltitudine di tristi pensieri che si affollano nelle loro menti

IL BEVITORE DI ASSENZIO

La solitudine del bevitore, allora come adesso.

DI EDOUARD MANET

LA BEVITRICE D’ASSENZIO

PABLO PICASSO

Anche Picasso alcuni anni dopo dedicò una sua opera a questa sostanza, la sofferenza e la solitudine ritornano anche in questa immagine.

VIKTOR OLIVA, “Il bevitore di assenzio”. È uno dei quadri più emblematici, l’uomo rimasto da solo, i tavolini ormai vuoti, il solo cameriere ad attendere la chiusura, l’uomo messo davanti ai suoi fantasmi da quella sostanza che ai tempi veniva proprio chiamata la “fata verde” in quella accezione illusoria di un qualcosa di positivo come accade per ogni sostanza ai primi usi.

VINCENT VAN GOGH

Donna al Café Le Tambourin
Tavolino di caffé con assenzio

Sembra ormai certo che Vincent abusasse dell’assenzio che agendo sulla percezione provocava in lui allucinazioni, attacchi epilettici ed un disturbo che va sotto il nome di xantopia, ovvero la ‘visione gialla’ degli oggetti, in particolare di quelli chiari. Da questo disturbo sembra derivare il fatto che negli ultimi suoi anni dipingesse le sue opere usando molto il colore giallo in tutte le sue varie sfumature.

Passando al ‘900 non si può non soffermarsi sul genio maledetto per antonomasia, Jackson Pollock. L’artista condusse tutta la sua vita sulla strada della autodistruzione, caratterizzata da eccessi di alcool e psicofarmaci, quella vita finita proprio in un terribile incidente d’auto a soli 44 anni mentre guidava sotto effetto dell’alcol. L’opera di Jackson Pollock fu influenzata dai Nativi americani, proprio per questo venne definito l’artista sciamano. Come i nativi usavano il cactus di San Pedro per entrare in una sorta di mondo parallelo in collegamento con spiriti ed inconscio lui usava alcol e psicofarmaci. Pollock è il più grande esponente della action painter, una modalità di creare arte particolare vivendo direttamente nel quadro stesso, dove spesso il colore viene fatto colare dall’alto in forma più liquida del normale, viene continuamente sovrapposto fino a creare un qualcosa di cromaticamente soddisfacente per l’artista.


“Quando sono dentro i miei quadri non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo. Solo dopo un momento di “presa di coscienza” mi rendo conto di quello che ho realizzato. Non ho paura di fare cambiamenti, di rovinare l’immagine e così via, perché il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire. “

Altro personaggio che per molti versi ci ricorda Pollock sia per la sua follia artistica che per la sua mente spesso “in viaggio” in luoghi difficilmente comprensibile è Andy Warhol.Nel loft newyorchese al quinto piano del 231 sulla 47esima Est, si consumavano sesso, droga e rock n’roll. Le vite bruciavano in quello spazio rivestito di stagnola e di vernice d’argento, tra il divano rosso raccattato per strada, i carrelli e le scale appese alle pareti, ci si poteva imbattere in drag queen, spacciatori e superstar. In quello studio conosciuto da tutti come la “Farm” si faceva a gara per essere invitati. Si camminava in coma lisergico e trance etiliche ma le sostanze psicotrope e le orge non toglievano spazio alla creatività e alla produzione di quella macchina infernale chiamata POP ART. Di qui passarono personaggi del calibro di Mick Jagger, Salvador Dalì, Allen Ginsberg e Nico, Lou Reed, Bob Dylan, Jim Morrison solo per citarne alcuni. Qui nacquero le copertine di Sticky Fingers e di The Velvet Underground & Nico sicuramente una delle copertine più irriverenti della storia rappresentata da un’iconica banana gialla che poteva essere pelata, rivelando una ‘sorpresa‘.

Worrol muore nel 1987, è stato un personaggio controverso, la sua arte visionaria trovò la maggiore realizzazione nella pittura e nella grafica ma nella sua vita fu anche scultoresceneggiatore, produttore televisivo e cinematografico, regista, direttore della fotografia ed attore a dimostrazione della sua incredibile versatilità.

Avvicinandosi ai giorni nostri meritano sicuramente la citazione due artisti contemporanei, Bryan Lewis Sanders e Brian Pollet conosciuto con lo pseudonimo di Pixel Pusha. Non saranno ricordati sicuramente per le loro capacità artistiche ma per la loro follia che li ha spinti a rendersi protagonisti di un singolare quanto folle esperimento. Il primo è un artista contemporaneo di Washington che ha voluto associare all’opera pittorica, fatta di autoritratti, l’assunzione di una droga o comunque di una sostanza psicotropa. In pratica Bryan ha assunto una sostanza diversa ogni volta facendo passare alcuni giorni tra una e l’altra in modo da non inquinare l’effetto e ogni volta, sotto l’effetto della sostanza, ha eseguito un autoritratto. Il risultato è stato sorprendente, la percezione di se stesso è stata completamente diversa a riprova di quanto le sostanze influiscano sulle sensazioni e sulla percezione del mondo che ci circonda. Ha usato ogni sorta di sostanza, oltre venti, dalla cocaina all’eroina, dalle anfetamine al metadone, dalla cannabis agli ansiolitici, dagli allucinogeni ai funghi, dallo xanax agli antidepressivi.

Pixel Pusha si è sottoposto ad un esperimento molto simile, spingendosi, se fosse possibile, anche oltre. Il Graphic designer di San Francisco, infatti, ha usato una sostanza diversa al giorno per venti giorni di seguito mettendosi poi a creare al suo pc.

LETTERATURA

Continuiamo il nostro “eccitante” viaggio alla ricerca dei punti di contatto tra droghe ed arte attraversando il mondo della letteratura.

Più o meno contemporaneo al movimento pittorico impressionista in Francia, Charles Baudelaire, con il suo pensiero e le sue opere, influenzò quelli che da lì a poco prenderanno il nome di poeti maledetti. La definizione di “poeti maledetti” trae origine dall’omonima opera del poeta francese Paul Marie Verlaine che insieme a Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé e Tristan Corbiere fu il maggior esponente di questa corrente. Potremo racchiudere o sostituire la parola “Maledetti” con anticonformisti, ribelli, innovatori. C’era una vera e propria ricetta per poter entrare a pieno merito a far parte del gruppo dei maledetti:

  1. Ad una base di gravi frustrazioni affettive aggiungete difficoltà materiali a volontà.
  2. Appena l’insieme risulta omogeneo versate dosi generose di vita sessuale promiscua, denutrizione, alcolismo, stupefacenti, tabagismo.
  3. Lasciate cuocere a fuoco lento fino alla comparsa di malattie veneree varie, sofferenza fisica e disturbi della mente
  4. Ed in fine l’ingrediente segreto, la maledizione del poeta, infatti, avrete lo splendido risultato di essere maledetti tre volte, dalla società, da Dio e da voi stessi!

Charles Baudelaire scrisse nel 1860 il saggio “Paradisi artificiali” dove oltre a parlare del vino si dedica a descrivere gli effetti dell’hashish e dell’oppio. È in questa opera che ritroviamo l’ormai celebre frase “Chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere” È noto come molte altre delle opere del poeta francese e alcune delle poesie più belle siano state scritte sotto l’effetto degli oppiacei e dell’alcol. Affascinato e in qualche modo dedito alle droghe Baudelaire faceva parte, insieme a Rimbaud, Malarmé, Hugo, Dumas ed altri del cosiddetto “Club des Hashischins”.

Nel saggio Baudelaire passa da un iniziale elogio della droga vista quale strumento umano per soddisfare il “gusto dell’infinito” ad una irrimediabile condanna della stessa: l’Artista, che segue i Principi Superiori dell’Arte, non può che rifiutare la droga come mezzo di creatività.

Contemporaneo di Baudelaire un altro scrittore ha catturato per la sua particolare storia la mia attenzione e curiosità, Robert Louis Stevenson. Parliamo dell’autore conosciuto principalmente per due sue opere, “Dottor Jeckill e Mr. Hide” e “L’Isola del tesoro”. Ma come può essere possibile che dalla stessa penna siano uscite fuori due opere così distanti tra di loro?

Una praticamente un romanzo per ragazzi, l’altra il percorso senza protezioni dentro la follia umana. Cosa era accaduto nella mente di quell’uomo? Inizialmente si attribuì allo scrittore l’uso di cocaina e morfina che forse usò anche in altri frangenti ma almeno in questo caso la spiegazione era un’altra. Secondo recenti ricerche Stevenson avrebbe scritto Dottor Jeckill e Mr. Hide sotto l’effetto di derivati dell’ergot, un fungo delle segale e del frumento, allucinogeno e potenzialmente letale. L’ergotina veniva utilizzata per iniezione nell’Ottocento come rimedio contro la tubercolosi e lo scrittore era appunto colpito da tale patologia. Secondo due studiosi dell’università di Glasgrow, l’effetto su Stevenson fu quello di trasformarlo in una sorta di “doppio” del suo Mr.Hide. La moglie riferì in una preoccupata lettera dell’agosto del 1885, che il marito per giorni era rimasto come ipnotizzato a letto in posizione inginocchiata con la faccia sul cuscino. Due settimane dopo cominciò a scrivere il famoso racconto sulla duplicità della natura umana, il tutto di getto, in una sola settimana.

Sigmund Freud

Sigmund Freud

A cavallo tra il 1800 e 1900 uno scienziato e scrittore di numerosi trattati e saggi scientifici divenne famoso anche per l’uso di cocaina al punto da diventarne, ancora oggi, una sorta di icona del primo sperimentatore volontario di tale sostanza quasi ne avesse evidenziato un uso terapeutico, stiamo parlando di Sigmund Freud (1856 1939) Considerato il padre fondatore della psicoanalisi, Freud fu un assiduo consumatore di questa sostanza sostenendo come questa avesse degli effetti benefici contro la tristezza e la depressione. Tuttavia nel 1890 dovette interrompere l’uso di cocaina durante le sedute, dopo aver quasi ucciso uno dei suoi pazienti sotto l’effetto della droga. Così scrisse alla sua fidanzata:

Se tutto va bene scriverò un saggio su questa sostanza, che mi aspetto avrà molto successo e troverà posto nelle terapie che oggi fanno uso di morfina. Ho anche altre speranze e progetti su questa cosa. Ne prendo piccolissime dosi per curare la depressione e le indigestioni”.

Nella mia ultima depressione ho fatto uso di cocaina e una piccola dose mi ha portato alle stelle in modo fantastico. Sto ora raccogliendo del materiale per scrivere un canto di preghiera a questa magica sostanza”.

Avvicinandoci sempre più ai nostri giorni merita un capitolo importante William Burrougs (1914 1997). È stato uno scrittore, saggista e pittore statunitense, vicino al movimento della BEAT GENERATION. Gli elementi centrali della cultura “Beat“ degli anni 50/60 sono il rifiuto di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione delle droghe, la sessualità alternativa, l’interesse per la religione orientale, un rifiuto del materialismo e rappresentazioni esplicite e crude della condizione umana.

Affiancano e fanno parte allo stesso tempo del movimento Beat tre movimenti culturali di quegli anni:

I movimenti culturali e studenteschi del 1968
L’opposizione al conflitto del Vietnam
ll movimento hippy

I

“La scimmia sulla schiena” (titolo originale Junkie) è un romanzo del 1953, forse il più potente e famoso di Burrougs. In questo scritto l’autore trasporta nelle pagine lo scottante tema dell’eroina e lo fa con sguardo lucido, estremamente scientifico e crudelmente personale. Definisce “scimmia”, il bisogno di droga nel momento dell’astinenza, termine entrato prepotentemente nella gergalità del mondo delle dipendenze. Il suo è un resoconto preciso e lucido, attraverso uno stile pulito, senza fronzoli, diretto: il romanzo si pone come una visione nello stesso momento “ad personam” e sociologicamente di massa, uno sguardo crudele sull’America che stava iniziando a conoscere i movimenti artistici giovanili. In Italia è Eugenio Finardi con la sua “SCIMMIA” a riprendere questa definizione e a scrivere la più precisa canzone italiana sulle sensazioni e sulle conseguenze provocate dall’uso di eroina. (vedi terza parte).

Niente pareva reale; mi sentivo circondato da uno scenario di cartone che poteva essere smontato da un momento all’altro.“

Uno dei capolavori della letteratura internazionale che senza dubbio deve gran parte della sua stesura alle droghe è “La nausea” di Jean Paul Sartre. Il titolo giàci mette sulla buona strada, ci fa intuire cosa potrebbe essere accaduto e la sua lettura ci guida in una esperienza dello scrittore che potremo definire mistica. L’autore stesso parla senza problemi di alcune nuove e stupefacenti dimensioni trovate grazie ad un alcaloide psichedelico che si trova in una pianta del deserto messicano. Si tratta della mescalina di cui, il futuro vincitore del premio Nobel per la letteratura, fece grandissimo uso. Lo scrittore dichiarò di non riuscire a distinguere il mondo reale da quello letteralmente “costruito” dalle allucinazioni. Non contento, alcuni anni dopo, durante la stesura di altri libri, si affidò a strani mix di caffe e corydrane, un forte eccitante.

Forse a molti era venuto qualche sospetto sull’uso di sostanze stupefacenti da parte di Stephen King visti alcuni passaggi inquietanti dei suoi libri che sembravano arrivare da una mente non proprio lucida, a rimuovere definitivamente ogni dubbio fu l’autore stesso che affermò che per scrivere Cujo e Misery bevve così tante birre e assunse talmente tanta cocaina da non ricordare quasi nulla della stesura di questi libri.

Persino Elsa Morante fece uso di mescalina, seppur sotto il controllo medico, come affermò lo stesso Alberto Moravia. La donna arrivò in seguito anche al consumo di LSD il cui nome si ritrova come una sorta di gioco di ringraziamento nelle iniziali dei titoli di alcuni suoi componimenti come:

La sera domenicale 

La smania dello scandalo.

Edgar Allan Poe e l’alcool, Charles Dickens con l’oppio, Victor Hugo l’hashish etc. etc. Sono davvero tanti gli scrittori di ogni livello che hanno visto influenzata la loro mente ed i loro pensieri da sostanze che li hanno trasportati in un mondo diverso da quello “realmente reale”. Cosa avrebbero scritto, cosa avrebbero partorito le loro menti se fossero restate completamente lucide, purtroppo non lo sapremo mai a me piace pensare che avrebbero generato qualcosa di ancora più bello anche se però, se così fosse, avremo perso davvero tanto.

MUSICA

Con questa ultima parte portiamo a termine il nostro viaggio che ci ha permesso di osservare alcuni punti di contatto tra droghe ed arte. Il mondo della musica è quello all’interno del vasto mondo delle arti in cui tale connubio ci appare più naturale ed atteso anche se non sempre i sospettati poi si rivelano “colpevoli” e viceversa.

Ci sono alcune droghe che vengono accostate ad un genere musicale ben distinto proprio per i loro specifici effetti, ad esempio la propagazione e produzione dell’Acid Rock è legata a doppio filo con gli effetti dell’LSD. Altri generi invece offrono una sorta di “pacchetto unico” che ne ha influenzato sia la creazione che l’ascolto, è il caso dell’anfetamina con il mondo della techno o dell’MDMA per i meccanici ritmi della musica house. Nel rep e nella trap vengono citate e rappresentate i cannabinoidi e la lean, una sorta di purple drank composti da sciroppi per la tosse a base di codeina e bibite gassate.

La discografia sull’argomento droghe è spaventosa, praticamente quasi tutti i cantanti si sono cimentati prima o poi in pezzi che attraversano l’argomento, chi direttamente chi sotto metafora, chi esaltando chi condannando, chi in tragedia chi in tono ironico, chi riportando vicende di altri chi esperienze personali. Riportiamo solo alcuni titoli che rappresentano un po’ i diversi punti di osservazione del fenomeno ben sapendo che avremo potuto riempire infiniti elenchi:

Rolling Stones – Mother’s Little Helper

Jefferson Airplane – White Rabbit

Velvet Underground – Heroin

Beatles – Lucy in the Sky with Diamonds

Eric Clapton – Cocaine

Jimi Hendrix – Purple Haze

Fabrizio De André – Cantico dei drogati

Afterhours – La sottile linea bianca

Articolo 31 – Ohi Maria

Eugenio Finardi – Scimmia

Neffa – La mia signorina

Rolling Stones – Brown Sugar

Bob Dylan – Rainy Day Women

Pink Floyd – Comfortably Numb

Luca Carboni – Silvia lo sai

Rino Gaetano – A Khatmandu

Antonello Venditti – Lilly

Vasco Rossi – Bollicine

Addentriamoci, come fatto fino ad ora, seguendo in modo più specifico alcune “tracce” che ho ritenuto essere, a mio modesto parere, più interessanti, stimolanti e singolari di altre. Ripartiamo da un punto già toccato nella prima parte di questo articolo e mi riferisco allo scrittore William Burrougs e la sua “scimmia sulla schiena”. A riprendere questa definizione e a scrivere la più precisa canzone italiana sulle sensazioni e sulle conseguenze provocate dall’uso di eroina fu Eugenio Finardi. Forse ai più non era nota l’intima vita di questo importante cantautore italiano che negli anni 70 per molto tempo fu un assiduo consumatore di questa droga. Finardi riesce in una descrizione potentissima, agghiacciante, profonda anche grazie alla musica martellante, precisamente accordata alla drammaticità della storia.

Il testo di “scimmia” per alcuni tratti è assolutamente sconvolgente specie per chi ignora le dinamiche che ci sono dietro il consumo di eroina.

Il primo buco l’ho fatto una sera A casa di un amico, così per provare
E mi ricordo che avevo un po’ di paura C’è molta violenza in un ago nelle vene
Ma in un attimo, una fitta di dolore Un secondo ad aspettare
Poi un’onda dolce di calore Quasi come nell’amore
E poi mi son lasciato andare Completamente rilassato
In un benessere artificiale Come mai avevo provato
Ma poi a casa me lo son giurato Che io no, non ci sarei cascato
“Io la imparerò ad usare Mi saprò gestire, non mi farò fregare”

Ma ci continuavo a pensare Non mi usciva dalla mente
E man mano che passava il tempo Diventava la cosa più importante
“E poi non me ne frega niente Di quello che dice la gente
Tanto siamo tutti assuefatti e di cosa Non importa niente”
E continuavo ad aumentare Mi facevo quasi tutte le sere
E appena fatto mi scoprivo a temere Di non riuscirne più a trovare
E poi ore, ore ore Fuori da una farmacia ad aspettare
E ‘sto stronzo del dottore Non me la vuole dare
Ma a lui che cazzo gliene frega Ah, ma un giorno me la paga
Un giorno passo con un sasso E gli faccio la vetrina nuova
…E dai, prestami una fiala È da sei ore che mi sbatto
Se non mi faccio uno stenolo Stasera lo sai, divento matto
Poi per due anni non ho quasi fatto altro Non ho suonato, non ho fatto l’amore
Tiravo il tempo da un buco all’altro In giro a sbattermi o in casa a dormire
Ma una mattina mi son chiesto: “Come andrà a finire?
Andare avanti, finire in galera Magari anche morire
E poi così non può durare Sta diventando quasi come un lavoro
Otto ore in giro a sbattermi Ma oramai sballo poco anche con l'”ero”
E poi sto perdendo tempo E sprecando quello che ho dentro
Io così non sto crescendo Mi brucio, ma mi sto spegnendo
E smettere non è poi così difficile Non fa neanche tanto male
Basta un po’ di cura e di comprensione Magari un po’ di metadone
E fuori c’è tutto un mondo da scoprire Sul quale si può intervenire
E se tieni duro sei mesi vedrai Che poi non ci ripenserai quasi mai”

Torniamo di qualche anno indietro nel tempo, forse a quelli che furono i veri albori dell’uso dell’eroina. Un grande assoluto della musica, Miles Davis ed il suo tacchino freddo. Con questo artista nasce il Cool jazz, siamo all’inizio degli anni Cinquanta, una musica che ha sicuramente qualcosa a che fare con l’eroina. Un jazz più “freddo”, calmo, rilassato, suonato proprio con uno stato d’animo sedato dagli oppiacei.

Seguirono anni veramente bui per il trombettista, che nel 1954, stanco di quella vita, decise di sfilarsi dalla droga con una terapia d’urto: il cosiddetto “cold turkey”, tacchino freddo, pratica che ora volgarmente definiremo il passare l’astinenza a ”secco” ossia senza aiuti esterni di nessun genere. Così l’artista descrisse questo momento così difficile della sua vita: «Avevo dolori dappertutto e il mio corpo puzzava come se fosse stato immerso nel brodo di tacchino!»

Purtroppo, molti esponenti della musica jazz furono attratti fatalmente ed in modo devastante dall’eroina. Il Picasso del jazz, il mitico Charlie Parker, uno dei padri fondatori del genere bebop, pagò a caro prezzo le scelte dissennate della sua vita. La dipendenza dall’eroina gli causò una serie di problemi nella sua professione, spesso si presentava in ritardo, a volte saltava completamente i concerti, altre ancora non era neppure in grado di tenere in mano il suo sax, nonostante tutto lo ricordiamo come un artista di gran valore. Quando trasferito lontano da New York riuscì a staccarsi dagli oppiacei si rifugiò nell’alcol per compensarne la mancanza. Morì una sera davanti alla tv alla tenera età di 35 anni, la persona che certificò la sua morte non riconoscendolo, scrisse morto un uomo di circa 60 anni.

Jazz , punk, rock, pop, tanti generi musicali hanno incrociato in molti loro esponenti, anche inaspettati, le più svariate sostanze e tanti protagonisti le hanno adorate, condannate, esaltate, maledette nei testi delle loro canzoni, c’è veramente l’imbarazzo della scelta. Molte volte si aggiravano i vincoli censori tramite metafore non particolarmente difficili da svelare ma spesso parlando anche esplicitamente delle varie dipendenze. Si va da Jimi Hendrix ad Eminem, da Neil Young ai Red Hot Chili Peppers, da Lou Reed a Jim Morrison, dai Led Zeppelin ad Amy Winehouse, ma quelli che forse incarnano più di altri il concetto genio sregolatezza, i divi dell’eccesso sono sicuramente I ROLLING STONES. In Sticky Fingers, solo per citare un album, troviamo “Brown Sugar” e “Sister Morphine”

Da Brown Sugar:

La nave di schiavi della costa d’ oro è diretta ai campi di cotone
Venduta giù al mercato di New Orleans
Il vecchio schiavista deturpato sa che fa bene
Sentilo frustare le donne proprio intono la mezzanotte Zucchero di canna come mai sei così buono
Zucchero di canna proprio come una ragazzina dovresti- ah hum oh ..woo!

Da sister morfine:

Sono qui sdraiata nel mio letto d’ospedale
dimmi, Sorella Morfina, quand’è che torni?
Non credo di poter aspettare così a lungo
lo vedi che non sono così forte

Sorella Morfina trasforma il mio incubo in paradiso

Forse pochi ricordano Mother’s Little Helper. La canzone parlava del “piccolo aiutante della mamma”, cioè del diazepam, che proprio in quegli anni cominciava ad essere usato in quantità preoccupanti proprio dalle donne della classe media. Fa sorridere immaginare Mick Jagger sgridare la propria madre perché assumeva del valium!

Dal testo di Mother’s Little Helper:

Il piccolo aiuto della Mamma. Che rottura invecchiare
Le cose sono diverse oggi, sento tutte le madri dire.
La mamma ha bisogno di qualcosa per calmarsi.
E sebbene non stia davvero male. C’è una piccola pillola gialla, lei va cercando il supporto del piccolo aiuto della mamma. E la aiuta per la sua strada, la manda avanti durante la giornata impegnativa, Dottore, per favore, un po’ più di questo.

Nell’immaginario collettivo i Beatles erano il contraltare dei Rolling Stones. Diavolo ed acqua santa … ma poi era veramente così? Anche gli scarafaggi inglesi hanno avuto incontri con le sostanze, forse meno dei loro storici rivali ma anche loro sono passati alla storia per alcuni loro pezzi che ne esaltavano e testimoniavano vicinanze.

Sicuramente il più indiziato dall’album Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band è il famoso “Lucy in the Sky with Diamonds” del 1967. La canzone è sempre stata descritta come una metafora, neppure troppo velata, degli effetti dell’LSD, il cui acronimo si ritroverebbe anche nelle iniziali delle parole del titolo.

Lennon pur non nascondendo mai il fatto di avere in passato fatto uso di droghe, ha più volte asserito che il riferimento alla droga sintetica era puramente frutto di una coincidenza! Sicuramente è un testo strano. Potrebbe anche essere solo un sogno, o forse tutto questo è stato fatto apposta per arricchire la leggenda di questa band che è una incontrastata icona del rock.

I dubbi rimangono eccome, se si legge il testo della canzone. accostamenti strani e lampi di lucidità improvvisi, figure che magicamente entrano in scena il tutto condito con sonorità molto suadenti e dolci, quasi infantili, in una sorta di sonno rilassatore.

Ma vediamo il testo…

Immaginati in una barca su un fiume
Con degli alberi di mandarino e cieli di marmellata
Qualcuno ti chiama, tu rispondi abbastanza lentamente


Una ragazza con gli occhi caleidoscopio.
Fiori di cellofan di giallo e verde
Sovrastano la tua testa
Cerca la ragazza con il sole negli occhi

ma lei se n’è andata. Lucy nel cielo con i diamanti.

Riprendiamo per un istante la copertina, ai più sembrano evidenti due cose, primo la scritta drugs in basso e poi la presenza di ambigui personaggi tra cui il nostro “amico” William Burrougs e Lewis Carrol, l’autore di “Alice nel paese delle meraviglie” racconto dove l’ispirazione figlia di “un viaggio” sembra ormai essere certa e dove anche alcuni personaggi usano disinvoltamente sostanze.

Lennon altresì spiegò più volte che questa canzone gli era stata ispirata da un disegno del suo figlioletto Julian che porgendogli il foglio gli disse: “Guarda papà… Lucy in the sky with diamonds!” Una curiosità, nel 1974, un gruppo di paleontologi scoprì in Etiopia i resti di una femmina di Australopithecus afarensis, decise di chiamarla proprio Lucy perché la radio in quel momento stava trasmettendo la canzone dei Beatles.

Neanche la musica classica e sinfonica è esente da tali “contaminazioni”. I due più grandi esponenti di questo mondo, Mozart e Beethoven secondo testimonianze e documenti del tempo spesso nella loro vita hanno abusato di alcol ed alcune loro gravi patologie hanno avuto come causa o almeno tra le cause più importanti proprio questa.

C’è un evento che ha solleticato le nostre fantasie giovanili e la nostra curiosità, un evento che forse più di ogni altro ha unito questo connubio musica e droghe e sto parlando del famoso festival di Woodstock a cui voglio dedicare un capitolo a parte.

Il festival di Woodstock, una piccola città rurale nello Stato Di New York in realtà si svolse a Bethel, dal 15 al 18 agosto del 1969, all’apice della diffusione della cultura hippie. Gli amministratori della cittadina, fiutato il pericolo della massa di gente in arrivo, decisero di non dare il permesso allo svolgimento del festival, la macchina pubblicitaria però era ormai partita e non c’era più modo di fermarla. Si riuscì a trovare una soluzione a Bethel distante alcuni chilometri che si trasformarono in una carovana di auto e persone in marcia verso questo luogo che non era altro che un immenso campo senza praticamente nessun servizio il tutto in condizioni metereologiche avverse. Quando si parla di Woodstock lo si ricorda spesso con l’espressione 3 Days of Peace & Rock Music, “tre giorni di pace e musica rock” ma a detta di molti che l’hanno vissuta non fu proprio così, fu solo tre giorni di fango e droga un vero incubo.

Woodstock era stato ideato come un festival di provincia ma accolse inaspettatamente, secondo alcune fonti, addirittura un milione di persone; 32 musicisti e gruppi si alternarono sul palco tra cui si ricordano le memorabili performance di un giovane Joe Coker, Carlos Santana e sopra ogni altro Jimi Hendrix con il suo celeberrimo inno americano eseguito alla chitarra elettrica. Il tutto smise un giorno dopo il previsto, era stato programmato infatti sino al 17, perennemente condito da quantità enormi di cannabis e LSD, tra cui il celebre “Orange Sunshine” dando al festival una grande carica simbolica, che affascina ancora oggi, ma, soprattutto, fu un grande evento della storia del rock e del costume.

Per alcuni musicisti che ce l’hanno fatta ad uscire dal mondo della droga o che comunque hanno vissuto molto per poterci donare le loro opere sono davvero troppi quelli che ci hanno lasciato in giovane età quando ancora avrebbero avuto tanto da donarci.

Jimi Hendrix, forse il più grande chitarrista di sempre. Viene ritrovato a Londra soffocato dal proprio vomito a seguito di un cocktail di alcol e sonniferi, aveva soli 27 anni.

Jim Morrison, poeta, cantante leader dei Doors, i parenti impediscono l’autopsia, forse non ce ne è davvero bisogno visto lo stato in cui viene ritrovato, ufficialmente muore di arresto cardiaco a 27 anni.

Elvis Presley, semplicemente il re, arresto cardiaco da overdose di barbiturici, muore a 42 anni.

Amy Winehouse, vincitrice di cinque Grammy, muore per cause legate alla sua forte dipendenza da alcol a 27 anni.

Joan Belushi, indimenticabile cantante ed interprete di “The blues brothers” muore per intossicazione di alcol e cocaina a 33 anni.

Concludo questa mia cavalcata in questo mondo di “arte eccitante” citandovi alcune frasi di personaggi celebri che hanno conosciuto molto da vicino arte, successo e droghe.

Salvador Dalì: “Io non prendo droghe. Io sono una droga.”

Keith Richards: “Non invito nessuno a fare quel che faccio io. E perché dovrei? Ne resta di più per me! “

Io non ho mai avuto problemi con le droghe. Ho avuto problemi con la polizia.” Stephen King: “Lo scrittore tossicodipendente è nient’altro che un tossicodipendente.”

Bob Marley: “Perché bere e guidare quando puoi fumare e volare?”

Coltivare l’erba non è legale? Se è Dio che ce l’ha data allora vuoi dire che anche Dio non è legale?”

Jim Morrison: “Se ti droghi ti capisco, perché il mondo ti fa schifo; se non lo fai ti ammiro, perché sei in grado di combatterlo.”

Comprare droga è come comprare un biglietto per un mondo fantastico, ma il prezzo di questo biglietto è la vita.”