Primo violino

Concludiamo la pubblicazione dei migliori racconti della sezione Narrativa a tema libero con il racconto vincitore del primo premio assoluto: Primo violino di Veruska Saetta.

PRIMO VIOLINO

Primo violino

Samuele era sotto pressione. Il concerto si avvicinava e le prove diventavano sempre più stressanti, non aveva testa neanche per mangiare con regolarità.
Poco importava se faceva parte dell’orchestra da oltre dieci anni e se suonava da quando ne aveva memoria. Lo sentiva come il suo debutto. Era diventato Primo Violino da poco e credeva che la responsabilità sulla buona riuscita dell’esibizione, sarebbe stata soprattutto sua. La scelta quell’anno, cadde su “La Gazza Ladra” di Rossini, una partitura che non prevedeva nulla di impossibile per lui, ma era conscio che la particolarità del componimento, avrebbe richiesto un impeccabile appoggio al Direttore d’Orchestra. Almeno, questo era il cruccio che aveva il cinque di novembre, quindici giorni all’apertura della stagione concertistica del Teatro San Carlo.
Quella sera i musicisti lasciarono il palco ben prima che anche Samuele si decidesse a farlo. Continuava a provare, tanto viveva da solo da quando aveva lasciato Roma per Napoli anni addietro e non gli importava di fare le ore piccole, non pensò neanche di controllare il telefono, quando lo fece, uscendo, trovò nove chiamate senza risposta, tutte di Sandra.
Sandra era la sua gemella, l’unica che sentiva spesso e con cui aveva un forte legame. La madre era morta durante il loro ultimo anno di liceo e del padre, non aveva più voluto saperne da quando era riuscito a trovare un’indipendenza economica. La sua famiglia era Sandra, solo lei. Insieme erano cresciuti e insieme avevano lottato per non lasciarsi inghiottire dai problemi che il padre sfornava come pane al mattino. Tra loro c’era quell’alchimia tipica di chi aveva condiviso il ventre materno e ogni forte emozione, veniva percepita dall’altro anche se distanti.
Samuele esaminò quindi il cellulare, non c’erano messaggi, solo chiamate inevase, l’ultima, di un’ora prima.
Questa particolarità lo insospettì. Era convinto che se le fosse successo qualcosa l’avrebbe sentito dentro, come sempre, invece l’unica inquietudine che aveva era causata dall’approssimarsi del debutto. Non ci pensò due volte a richiamarla subito.

– Oh finalmente!

– Dormivi?

– No, sapevo che mi avresti richiamata.

– Be’? Cos’è successo?

– Come vanno le prove?

– … Sandra… Mi hai chiamato nove volte! Dubito che sia per chiedermi delle prove… Vuoi dirmi o no che è successo?!

– Papà è morto.

– Quindi?

– Samuele sei impossibile! Papà è morto stamattina e basta, quindi cosa?

– Ci divideremo la spesa per il funerale, tanto già lo so che ha lasciato solo debiti…

– Non ti ho chiamato per i soldi, ti volevo avvisare, nel caso volessi esserci al funerale…

– Quando?

– Sono arrivata oggi pomeriggio e abbiamo fissato per domani. Vieni?

– Ho le prove, non posso lasciarle. E poi lo sai che non mi fa né caldo né freddo la notizia.

– Va bene, lo immaginavo… Ma le prove, come vanno?

– Più provo e più mi agito… Fammi sapere se hai bisogno di qualcosa per sistemare la faccenda.

– Alla “faccenda” ci penso io. Tu pensa al concerto, non vedo l’ora di esserci!
Si salutarono. Samuele non aveva voglia di tornare a casa e rimase a girare senza meta per il centro città, ascoltando il rumore dei suoi passi e dei suoi pensieri.
Era vero che la notizia non gli faceva effetto. La madre era stata il collante della famiglia finché c’era stata, riuscendo sempre ad attutire i colpi che l’uomo provava ad infliggere ai figli. Non li aveva mai toccati con un dito, ma psicologicamente ed economicamente li aveva devastati. Il padre aveva passato la vita a invischiarsi in affari loschi, a creare debiti, e far danni. Quando era a casa, sembrava geloso del rapporto simbiotico che avevano i suoi figli e ogni occasione era buona per seminare zizzania o per metterli in competizione. Non c’era mai riuscito però. Il legame gemellare, si rivelò più forte di quello genitoriale.
Nei giorni successivi, il risultato delle prove di Samuele sembrava non migliorare. Dava la colpa alla stanchezza, allo strumento, all’orchestra ancora lontana dal riconoscergli l’autorità di Primo Violino. Era colpa di tutto e tutti tranne che sua. Rabbrividì scoprendo che questa era una caratteristica tipica del padre. Si ricordò che era morto e decise di chiamare Sandra per sapere come stava lei. Trovava inspiegabile che, dopo tutto quello che le aveva fatto passare, si fosse ostinata a mantenere dei rapporti con lui, invece di farlo scivolare da solo nel suo inferno.

– Come stai?

– Bene, ti stavo per chiamare, ci sono novità.

– Chi altro è morto?

– Scemo! Nessuno, ma sono ancora a Roma per sistemare casa.

– Che c’è da sistemare?

– In verità nulla, quando sono arrivata la fidanzata di papà si era già portata via tutto quello che poteva, strano che abbia lasciato porte e finestre…

– Si erano accoppiati proprio bene.

– Pensa te che l’altro giorno non mi ha chiamata per dirmi che papà era morto, ma per avvisarmi che non aveva soldi da spendere per il funerale! Comunque… Ascolta… Mi ha chiamato Arlini, il notaio, te lo ricordi?

– Sì, certo, l’amico di mamma, che vuole?

– Ci aspetta nel suo studio per aprire il testamento…

– Testamento? Aveva solo debiti e sulla casa ci saranno… Quante, sei, sette ipoteche?! Dobbiamo fare la rinuncia all’eredità casomai!

– Sì… Sì… Lo so. Intanto ci aspetta. Io domani torno a Firenze, ma la prossima settimana sono in licenza, l’avevo presa per essere da te a Napoli il venti, ma poi il ventuno torno su. Non hai un giorno libero prima del debutto per salire a Roma e toglierci il pensiero?

– Anche da morto deve romperci le scatole! Va be’… Il diciassette abbiamo un giorno di stacco per caricare le batterie prima dell’evento. Volevo provare ugualmente ma se si deve…

– … si deve. Perfetto. Prendo appuntamento con Arlini e poi ti faccio sapere.
L’appuntamento era stato fissato a mezzogiorno nello studio romano del notaio. Entrambi sapevano dov’era e decisero di vedersi direttamente lì. Samuele partì con calma, fece colazione, il pieno alla macchina e imboccò la A1. Durante il viaggio la sua mente si divise in due. Metà era impegnata a guidare, l’altra metà era immersa nei ricordi che sperava di dimenticare.
Era curioso di sapere cosa ci fosse nel testamento, ma temeva anche che si trattasse dell’ultimo scherzo del padre.
Ricordava bene come ostacolava le loro passioni fin da piccoli cercando di metterli l’uno contro l’altro. Samuele si innamorò del violino a cinque anni, vedendo un vagabondo suonarlo per le strade di Roma. La madre gli comprò uno strumento scadente e a rate, ma non poteva fare di più. Samuele riuscì a farlo suonare come un pezzo unico, mettendoci tutta l’anima che aveva. Sandra invece era appassionata d’arte e da piccola disegnava sempre e ovunque. Più le loro passioni crescevano e si fortificavano, più il padre si divertiva a distruggerle. Spesso nascondeva il suo violino o gli allentava e rompeva le corde per poi dire che era stata Sandra, e di contro, rovinava o addirittura strappava i disegni della figlia facendo ricadere la colpa su Samuele. Finché c’era stata, la madre mediava e consolava, ma morta lei, fu uno stillicidio. Il padre mise subito in chiaro che solo chi lo avrebbe assecondato in tutto e per tutto avrebbe avuto il sostegno per andare all’università o al conservatorio. Samuele e Sandra si adoperarono svolgendo dei lavoretti il pomeriggio e il fine settimana, ma il padre si mangiò anche quei risparmi finché i due ragazzi decisero di andarsene. Se proprio non potevano contare sull’aiuto del genitore, allora sarebbe stato meglio sacrificarsi solo per loro stessi e nessun altro.
Lavorarono sodo, Samuele si diplomò al conservatorio e Sandra si laureò in belle arti. Dopo una lunga gavetta, lui entrò nell’orchestra del San Carlo a Napoli e la sorella vinse il concorso all’arma dei Carabinieri, passando poi al Nucleo di Tutela Patrimonio Artistico a Firenze.
Samuele parcheggiò l’auto pieno di livore nei confronti del padre, e gli si disegnò sul viso un ghigno di disgusto comprendendo che la sua totale anaffettività, l’aveva ereditata proprio da lui. Un ennesimo debito, questa volta genetico, altro che patrimonio. Pensò anche che poteva essere questo il motivo per cui da bambino riusciva a far suonare divinamente un violino da quattro soldi e ora, non gli veniva di ottenere lo stesso risultato da un ottimo strumento: la sua anima, forse, si era spenta.

– Che è ‘sta faccia? Almeno un sorriso fammelo!
Vedendo la sorella, i tratti del viso di Samuele si distesero all’istante, si abbracciarono e lui percepì il calore di quel contatto, si rincuorò: forse la sua anima non era del tutto persa.
Arlini li accolse cordialmente, li conosceva da sempre e in qualche modo, avendo sempre amato la madre, vedeva in loro un suo ricordo.

– Quanto tempo… Vi trovo benissimo, la lontananza da Roma vi ha giovato. Accomodatevi.

– Non ci aspettavamo la sua chiamata a essere sinceri, brutte notizie?

– Oddio, spero di no! Il testamento è breve, devo solo leggervi una lettera e consegnarvi un oggetto. Prima però, tengo a dirvi che sono dispiaciuto quanto voi della perdita di vostro padre.

– Be’, credo di poter parlare anche a nome di mia sorella, ma noi, non siamo affatto dispiaciuti.

– Appunto! Non so perché lui abbia scelto proprio me per assolvere a questo compito. Sapeva bene che lo detestavo per come ha mortificato la vita di vostra madre e la vostra, ma tant’è… Ho accettato per voi. Vi ho visti crescere e credevo giusto potervi essere utile nel caso vi avesse messo nei guai anche da morto. Comunque. Non è un vero testamento, è più una lettera scritta di suo pugno, non c’è verbale di accettazione, è un atto informale insomma. Cominciamo?
I due gemelli annuirono.
Arlini aprì la busta che conteneva solo un foglio riempito a metà dalla stramba e imprecisa calligrafia del padre. Buona parte del testo era occupata dalle solite parole di presentazione e dall’essere nel pieno possesso delle proprie facoltà.
Le ultime righe però, lasciarono i fratelli più interdetti di quando avevano iniziato.

– … “Non avendo beni mobili o immobili, vi lascio un unico oggetto che, sono certo, entrambi apprezzerete.” Roma, 11 gennaio 1999.

– Ha scritto il testamento due anni dopo che l’abbiamo piantato in asso.

– A quanto pare. È venuto da me con questa busta e con quella scatola. Mi ha detto che non poteva tenerla a casa e che una cassetta di sicurezza sarebbe stata troppo costosa visto che aveva intenzione di vivere ancora molto a lungo.

– È vissuto per molti altri anni infatti… Cosa c’è dentro?

– Spetta a voi scoprirlo, di certo non l’ho aperta. Se guardate bene i bordi dell’imballaggio sono ancora sigillati con le sue firme.

– Tutto qui?

– Tutto qui… L’unica cosa che mi sento di dirvi è che, se avete bisogno di me, non esitate a chiedere.

– Dovremmo fare la rinuncia all’eredità, o saremo creditori a vita di chiunque… Può occuparsene?

– Ci penso io, appena la registro ve la spedisco. Intanto, se volete aprire la scatola, io posso anche uscire e lasciarvi soli.
Sandra e Samuele decisero di non aprirla nello studio di Arlini, temevano il contenuto. Ci avrebbero pensato dopo, volevano solo aria, ma usciti dal palazzo, si trovarono immersi nel caos del traffico romano. Samuele, con il pacco sotto braccio, guardò la sorella appoggiata al trolley.

– Il tuo bagaglio è solo quello?

– Sì.

– Non voglio restare a Roma un momento di più, andiamo a Napoli adesso, una volta a casa mia l’apriremo, va bene?
Sandra annuì, si avviarono alla macchina e si fermarono a mangiare qualcosa lungo la strada. Per tutto il viaggio, parlarono delle loro vite, del lavoro, di aneddoti, e si dimenticarono quasi dell’eredità del padre, chiusa nel bagagliaio insieme alla valigia di Sandra.
Una volta arrivati, solo dopo essersi rinfrescati, si sedettero sul divano a contemplare la scatola posta sul tavolino del soggiorno. Era abbastanza leggera, con le sembianze di un lungo parallelepipedo poco profondo. Sui bordi di chiusura, spiccavano le firme del padre.

– Lo facciamo?

– Facciamolo…
Sandra, con precisione chirurgica, lasciò che la lama del coltello affondasse appena per separare i lembi superiori del cartone e poi passò a quelli laterali. Spostando i piccoli ricci di polistirolo che celavano il contenuto, apparve una custodia che a Samuele sembrò familiare. La sorella la estrasse appoggiandola tra loro due e fece scattare il meccanismo di chiusura.
All’interno, c’era proprio quello che Samuele aveva sospettato: un violino. Lo prese tra le mani e si alzò portandolo davanti alla finestra per esaminarlo con luce naturale. Era uno strumento antico, i segni di usura erano visibili ma non ne intaccavano la straordinarietà. L’occhio allenato del musicista riconobbe il legno d’abete con cui era stata costruita la tavola armonica, vide il fondo costituito da due pezzi d’acero riccio incollati a spina di pesce con apice in alto, notò la maestria delle fasce di testa e soprattutto, rimase colpito dalla vernice di rivestimento rosso bruna, su fondo dorato.
Samuele imprecò con un tono rabbioso. Sandra lo raggiunse non riuscendo a decifrare la reazione del fratello.

– È un violino! Dovresti essere contento! Perché te la prendi?

– Sandra… Questo non è un violino. Questo è il Violino!!!

– Cosa vuoi dire?

– Che suono questo strumento da quarant’anni e so riconoscere quando davanti mi ritrovo quello che ogni violinista sogna di suonare nella sua vita… Questo qui, è uno Stradivari…

– Cooosa!?! Perché papà ce l’ha lasciato e come diavolo ha fatto ad averlo?!
Sandra non possedeva le competenze musicali del fratello, ma era un’esperta d’arte, si fece illustrare dal fratello le caratteristiche e non poté che dargli ragione.

– Un momento. Opere come queste sono censite, se ne abbiamo una tra le mani e soprattutto, se viene da papà forse…

– … È rubata…
La sorella prese il telefono e iniziò a cercare su internet gli Stradivari mancanti all’appello, erano otto nel mondo. Cercò tra quelli rientranti nel catalogo del nucleo di tutela d’arte dei Carabinieri di cui faceva parte, ricordava bene che almeno uno vi era inserito e lo trovò. Era stato rubato in Italia. Cercò le foto e insieme al fratello le confrontò con lo strumento che avevano tra le mani e giunsero alla medesima conclusione: il violino lasciato in eredità dal padre, era il “Colossus”, realizzato da Antonio Stradivari nel 1716 e rubato a Roma nel novembre del 1998. All’epoca della scomparsa, il suo valore si aggirava intorno ai cinque miliardi di lire.

– Che data portava il testamento?

– Gennaio 1999.

– Dio mio… Due mesi dopo il furto… Dobbiamo restituirlo Samuele, adesso!

– No!

– Ma ti rendi conto? Faccio parte dell’Arma, proprio della sezione incaricata di recuperare oggetti d’arte rubati e tu, vuoi tenerlo??

– Lo capisci che è un ennesimo, l’ultimo scherzo di nostro padre per metterci uno contro l’altro? Lasciare in eredità a noi, un violinista e un carabiniere, uno Stradivari rubato!

– Non ho parole… Cosa intendi fare?

– Voglio suonarlo, devo! E lo farò subito…

– Ma dove vai?! Non puoi girare per la città con quel violino!

– Vado in teatro! Vieni con me…
Samuele tolse dalla custodia il suo violino e vi mise il Colossus, così da non destare sospetti. Convinse la sorella ad accompagnarlo e poi i guardiani ad aprire il teatro: se il Primo Violino del San Carlo vuole provare a due giorni dal debutto della stagione, nessuno può impedirglielo.

Sandra si sedette in prima fila a guardare il fratello armeggiare per ore con lo strumento per rimetterlo in sesto dopo vent’anni di silenzio. Provò e riprovò accordi e note, acuti e bassi finché l’anima del violino si risvegliò e insieme alla sua, anche quella di Samuele.
Sandra non aveva cambiato idea sulla restituzione, ma capì subito che se avesse tolto al fratello lo strumento in quel momento, vedendo l’estasi in cui il violino e il suo suono l’avevano portato, l’avrebbe annientato, dandola così vinta al padre.
Tornando a casa insieme, a piedi e a notte fonda, ne parlarono trovando un accordo: Samuele l’avrebbe tenuto e suonato per i prossimi tre giorni, fino al concerto, poi Sandra, rientrata a Firenze, si sarebbe occupata di farlo ritrovare tramite sue conoscenze.
Samuele dovette usare tutte le cautele possibili per suonare lo Stradivari a teatro durante le prove senza dare nell’occhio, ma ci riuscì, così come riuscì a trovare in quel violino una ragione di riscatto e di miglioramento.
La prima de “La Gazza Ladra” fu un successo, il pubblico entusiasta onorò l’orchestra con diversi minuti di applauso. Tra il pubblico c’era anche Sandra, che applaudì il fratello commossa e fiera, fino ad avere le mani doloranti. Samuele era stato impeccabile.
Si dice che per suonare uno strumento non occorrano solo talento e studio, ma soprattutto anima, è con essa che si suona. L’anima di Samuele era entrata in risonanza con quella dello Stradivari, all’interno del quale, oltre quella del costruttore, riecheggiava anche l’anima di tutti i violinisti che avevano fatto vibrare l’aria con il suo suono nel corso dei secoli. Quella sera, strumento e uomo, erano diventati una sola cosa e lui, si sentì per la prima volta dopo decenni, in pace con sé stesso e con il mondo.
I due fratelli non seppero mai come avesse fatto il padre ad entrare in possesso del violino, né quale fosse il suo intento nel lasciargli un’eredità così ingombrante.

da “Il Corriere della Sera” del 10 dicembre 2021
Ritrovato a Siena, in circostanze del tutto fortuite, il violino “Collossus” realizzato da Antonio Stradivari del 1716 e rubato nella dimora romana di un violinista di fama internazionale nel 1998. Il responsabile del furto, resta tuttora ignoto.