Il dono di una parola

Proseguiamo con la pubblicazione dei migliori racconti della sezione Narrativa a tema libero. Oggi è la volta del racconto terzo classificato Il dono di una parola  di Emanuel Fatello..

Il dono di una parola

– Bla, bla, bla…Solo parole! – si ritrovò sorpreso Loris ad esternare il suo disappunto ad alta voce.

– Lo sai che cos’è una parola? – gli domandò all’improvviso una voce che non possedeva volto. Prima di comprendere da dove provenisse e prima ancora di poter rispondere, quella voce proseguì:

– La parola è tutto o niente allo stesso momento, un puzzle casuale di lettere o la melodia più armoniosa che si possa comporre, è l’eco incompleto disperso tra le vette o la spada di fuoco che sa fendere il cuore. La parola è il ponte che unisce non solo la bocca di chi la proferisce all’orecchio di chi la ascolta, ma è il tramite che mette in contatto due cuori.
Eppure, lui doveva conoscerlo bene il significato delle parole, lui che dello scrivere aveva fatto una professione, lui che aveva avuto la forza e la determinazione per trasformare un’esigenza in passione ed una passione in una vera ragione di vita. Almeno così era stato, in un passato non certo remoto ma che gli appariva lontano, perso nelle pieghe di ciò che fu e di ciò che stava divenendo.

– La parola è un suono – provò a controbattere Loris con scarsa convinzione, ma molta rabbia.

– Un semplice suono? – si sentì replicare – Sarebbe come affermare che quelli lì davanti a te siano semplici edifici!
Smise di fissare il vuoto e cominciò a guardare davvero, focalizzando la maestosità del Duomo ed il bel campanile in stile gotico, lasciandosi rapire dalla bellezza del marmo rosa del Battistero con i tre portali intervallati da file di arcate cieche.
Si voltò: dietro di lui una bambina, sotto gli occhi vigili della madre, faceva bolle di sapone rincorrendole divertita per provare a riprenderle prima che si alzassero troppo, volando più alte dei suoi stessi sogni, incurante dei richiami materni:

– Attenta tesoro, potresti inciampare; non allontanarti troppo!
Guardò di lato, osservando una giovane coppia intenta a cogliere la sfumatura migliore, per immortalare in un selfie lo sfondo di piazza del Duomo ed il loro sentimento, ancora troppo grande per essere contenuto in uno schermo.

– Dai amore più vicino; e sorridi, voglio che questo momento sia perfetto – gli disse lei emozionata, prima di schioccargli un bacio, lo sguardo fisso sull’obiettivo.
Si girò ancora e la figura che aveva saputo mostrargli così profondamente il significato della parola, si materializzò al suo fianco; non aveva percepito movimento, non era arrivato, era semplicemente comparso, come una melodia trasportata dal vento.
Non riusciva a scrutarne i lineamenti, coperti da un cappello a tesa larga, da un paio di occhiali da sole e dal risvolto rialzato di quello che sembrava più un poncho che un semplice cappotto.
Non si era voltato a guardare le scene circostanti, immobile con lo sguardo fisso davanti a sé, su un orizzonte che sembrava valicare quella piazza e quella Cattedrale, eppure sembrava viverle e parteciparle come le stesse osservando.

– Ascolta la preoccupazione di quella mamma, l’ansia di chi è conscio del valore di quella piccola creatura e vorrebbe preservarla da ogni pericolo, consapevole di quanto la vita possa essere dura. Azzarderei una giovane vedova, a giudicare dagli occhi scavati da tante lacrime e poco sonno, da un vestito troppo nero e troppo lungo in questa giornata, da come continua a sfregare con ansia la fede al dito ancora lucente; e dalla sua voce incrinata da una sofferenza profonda. Come contrasta tutto ciò con la vitalità della sua bimba, inconsapevole, nella sua ingenuità, di ciò che ha perduto ancor prima di conoscerlo a fondo; osserva come bacia ognuna di quelle bolle, messaggera di un saluto che deve arrivare fino in cielo, per portare un saluto a chi può amarla ormai solo dall’alto. Guardala come saluta sorridendo scrutando quelle nuvole.

– E ammira quella giovane coppia – continuò sempre senza volgere lo sguardo – immersa nel piacere dell’amore, inconsapevole di ciò che sarà di loro ma convinta che sarà comunque per sempre. E con la paura di chi non vuole perdere qualcosa di troppo bello, cerca di fissarlo su una foto, quasi fosse un magico portale che possa trasferire quell’eternità nei loro cuori. Hai sentito l’intensità di quel voglio che questo momento sia perfetto? Sottintende la speranza che quella perfezione racchiuda i contorni dell’eternità.

– Non hai nemmeno visto quelle persone, come puoi dire tutto ciò? – rispose Loris sorpreso.

– Non avrò visto, ma ho guardato; e soprattutto ho ascoltato: ho ascoltato quelle parole con le orecchie dell’anima, ho udito la loro intensità, ho captato le loro vibrazioni.
Quel tono di voce, la sua pacatezza che lasciava trasparire fermezza; l’aveva già sentita ne era certo. Chiuse gli occhi per un momento, per ascoltare, senza vedere. Ma certo, ecco dove…

– Scusami tanto, non ti avevo riconosciuto! Sarà stato il cappello, o gli occhiali – si giustificò.

– Non importa, capita spesso – lo tranquillizzò l’altro – nessuno mi riconosce mai; perché nessuno mi guarda – non c’era rancore in quelle parole – io sono una figura di passaggio: ciò che le persone ricordano sono le parole, quando toccano le corde del cuore. È lo stimolo della mia voce ciò che conta, non le fattezze di un volto.
Ora metteva a fuoco quel primo incontro, pochi giorni prima: era in piazza Garibaldi, al termine di una giornata stancante e frenetica, con l’unico desiderio di bere qualcosa di fresco, al tavolino di uno dei tanti bar, per ingoiare alcool e amarezza prima di pensare alla cena. All’angolo di una via pedonale, sentì quella voce:

– Non troverà mai la pace chi non accetta di essere in guerra. E continuerà sempre ad essere in guerra con tutti, chi non saprà far pace con se stesso.
Fu come un brivido improvviso che attraversò il corpo, fu la goccia di pioggia che scivola nel colletto della camicia, fu il taglio sottile e profondo di un foglio di carta sul dito. Quelle poche parole, lanciate in aria come un pugno di sabbia, sembravano indirizzate proprio a lui. Cercò tra i passi confusi della folla circostante: fu allora che incrociò lo spirito, ancor prima che lo sguardo, di quella figura misteriosa avvolta in un poncho, con i capelli raccolti in una lunga coda nera che lo rendevano simile a un nativo americano; davanti una ciotola per metà già piena di monete.

– Che cosa hai detto scusa? Di quale guerra del cavolo stai parlando? – lo apostrofò con una durezza che non gli apparteneva, dettata dalla paura della sua improvvisa nudità.

– Occorre riscoprire la fonte dalla quale sgorghiamo, per comprendere il corso che stiamo seguendo e capire a quale foce ci condurrà. Remare controcorrente non ci porta da nessuna parte; a meno che non siamo salmoni!
Loris gli voltò la schiena in preda ad un attacco di rabbia e fastidio, spiazzato da come un estraneo avesse saputo inquadrarlo in un attimo più di quanto lui avesse fatto negli ultimi mesi; si morse il pugno tentando di placare l’affanno, prima di rigirarsi nuovamente verso di lui. L’altro però era già scomparso, lasciando dietro di sé solo l’eco delle sue parole. Si accasciò allora sulla sedia di un tavolino ordinando un liquore; e poi un altro e un altro ancora, finché la mente non riconobbe più il sogno dal reale, ciò che era diventato da ciò che avrebbe voluto essere.
Ritornò di nuovo là il giorno dopo con l’intento di smascherare il gioco di quel vile: lanciare a caso frasi ad effetto nel tentativo di far presa su qualche ignaro e casuale passante. Lo trovò sempre nei pressi della piazza, sovrastata da un imponente Garibaldi; si sedette poco distante e cominciò a guardare, senza notare ciò che l’altro vedeva e soprattutto capiva.
Un ragazzo, con incedere nervoso, passando loro vicino, emise profondi respiri guardando con ansia l’orologio. L’uomo a terra, con la sua voce calda e comprensiva gli disse:

– Non temere di non piacerle, sii solo te stesso. E quando non troverai le parole giuste, taci e guardala come lei merita; e abbracciala come tu desideri. A lei basterà.
Il giovane si fermò, tornò sui suoi passi verso l’uomo seduto e lasciò alcune monete nella sua ciotola; poi, con un filo di voce, lo ringraziò, prima di allontanarsi molto più sicuro di sé.
Solo fortuna, pensò Loris dal suo tavolino, richiamando il cameriere per bissare il primo ordine.
Un’anziana, carica di spesa e di troppi anni trascinati a fatica, incedeva lenta, fermandosi ogni tanto per riprendere fiato, approfittando di quegli attimi per perdersi in pensieri altrettanto pesanti.

– Cara, tu hai fatto tutto ciò che dovevi per tuo figlio, senza risparmiarti mai; e lui lo sa. Vedrai che passerà presto a trovarti. Tante volte diamo per scontato quello che è un dono, credendo sia un diritto il riceverlo, ma dimenticando spesso di domandarci se lo meritiamo davvero.
La signora parve quasi commuoversi; raschiò il portafoglio per recuperare le ultime monete che possedeva e donarle con gioia a chi aveva saputo offrirle parole e conforto; poi caricate le buste riprese la strada di casa, con un sorriso frutto di una ritrovata speranza.
Previsione azzardata ma fattibile, si ripeté l’altro ingurgitando un altro bicchiere, tentando così di convincere se stesso, per dare sostegno alle sue certezze che cominciavano a vacillare.
I casi si susseguirono puntuali quel giorno, così come quello successivo; quell’uomo sapeva leggere i pensieri più reconditi delle persone e alleggerire i loro pesi con le parole giuste, quelle che ognuno aveva bisogno di sentire. Non erano espressioni casuali, non c’era intento di primeggiare, né desiderio di impartire lezioni; c’erano solo la voglia e la capacità di essere faro nel buio della tristezza, di essere musica nella sordità delle emozioni, di essere qualcuno dove c’era solitudine.
Ed ora se lo ritrovava là al suo fianco, mentre rapito dalla bellezza della Cattedrale, gli spiegava il valore della parola, di come un suono potesse divenire verità e bellezza.
Un mendicante, scacciato da tutti, si avvicinò claudicante ad elemosinare pochi spiccioli; Loris lo allontanò senza neanche guardarlo. Si avvicinò allora all’altro, il quale si voltò e gli sorrise, trasmettendogli calore; poi, con discrezione, prese una banconota e gliela porse, accompagnando il gesto con una carezza sulla spalla, ad indicare comprensione e solidarietà, respingendo al contempo i ringraziamenti del povero, che si allontanò benedicendolo.

– Perché lo fai? Perché passi il tuo tempo così, ad elargire… no scusami, a regalare pensieri a persone che neanche conosci? Non è nemmeno per i soldi che raccogli; non capisco.

– A volte non serve capire per agire – prese a spiegargli – bisogna lasciarsi andare, pensando che non siamo singoli individui, siamo parti integranti di un qualcosa, dal quale dipendiamo ma verso il quale abbiamo dei doveri. La famiglia, la scuola, gli amici, il lavoro, la comunità: noi viviamo in relazione agli altri, siamo “ingranaggi” di un meccanismo che potrebbe fare a meno di noi, ma che allo stesso tempo potrebbe incepparsi se noi non facessimo la nostra parte. Tu scrivi giusto?

– Be’, in effetti sì; ma tu come fai a sap… – non ebbe però modo di finire la frase, poiché l’altro riprese a parlare.

– Ecco, pensa di completare un libro stupendo, sul quale hai sudato e faticato, consapevole che sia un qualcosa di bello e importante. Immagina poi di prendere quel libro e chiuderlo a chiave in un cassetto, senza dar modo a nessuno di leggerlo. Che valore avrebbe quel libro, la tua fatica, la tua stessa vita? – si fermò un attimo per dargli modo di riflettere su quelle parole. Poi riprese:

– Ognuno di noi ha qualcosa da offrire agli altri, un piccolo contributo per alleviare una pena, una sofferenza. Io non ho soldi, né so scrivere; cerco allora di parlare alle persone, osservandole, comprendendole; trattandole con il rispetto che meritano, non con il tempo che trovo. Molti anni fa – continuò recuperando ricordi lontani – mi trovai, per una serie di sfortunate circostanze, a terra, in aperta campagna, quasi morto. Un attimo prima di chiudere gli occhi vidi una figura venirmi incontro, pensando alla fine. Invece un uomo mi raccolse e mi portò a casa sua, mi curò, mi nutrì, mi parlò. Quando cominciai a riprendermi gli chiesi perché avesse fatto tutto quello per me; potevo essere un pazzo, un ladro, un assassino. Non mi conosceva, non sapeva nulla di me. Fu allora, nella sua risposta, che compresi il valore di un uomo, capii cosa significasse donarsi ed aiutare. Non avevo bisogno di conoscerti o sapere nulla di più di ciò che potevo vedere: eri solo e stavi morendo; tutti siamo chiamati a morire, nessuno però dovrebbe farlo da solo. Quindi ti avrei salvato o ti avrei tenuto la mano in quell’ultimo momento. Non serviva un nome per chiamarti fratello. Da allora – continuò a raccontare – cerco anch’io di fare la mia parte, non è molto ma è sempre qualcosa; e il poco di molti può fare la differenza.

– Non è poco ciò che fai. Ho visto la gratitudine ed il sollievo sui volti del giovane innamorato e della vecchietta con la spesa, pochi giorni fa; così come la riconoscenza sincera nel mendicante di prima. No, ciò che fai è tanto; tu riesci ad offrire te stesso.

– Ognuno di noi dovrebbe garantire la propria parte. Cerca di ritrovarti, riprendi le redini della tua storia, riscopri il piacere di essere te stesso. Non violentiamo la nostra natura per essere solo una maschera che sopravvive nel mare dell’ipocrisia: viviamo la vita a modo nostro mostrando il vero volto che ci appartiene. Ritrova la magia di volare, ricorda di quando eri bimbo e le parole erano la magia del pensiero. Torna a credere nei sogni e i sogni torneranno a cercarti. E quando li avrai riscoperti, con il tuo dono, aiuta anche gli altri a sognare!

– Lo farò, tornerò su quel sentiero perduto e da lì spiccherò il volo, scrostando il fango che mi imbratta le ali del sogno. Grazie di cuore.
Loris si voltò per stringere la mano a quell’angelo, ma era già svanito, a ristorare altri disperati con la borraccia della speranza nel deserto della solitudine.
La bambina delle bolle di sapone gli si avvicinò:

– Vuoi fare una bolla e mandarla in cielo? Puoi metterci dentro i brutti pensieri e spedirli lontano.

– Certo cara, mi piacerebbe molto. E funziona? – le domandò mentre soffiava in quel piccolo anello tutta la sua tristezza, la sua insofferenza, la sua amarezza, vedendole allontanarsi in un riflesso di bolla.

– Certo che funziona! – gli rispose la piccola – Me lo ha detto il mio papà!

– E dove si trova ora? – le chiese ripensando alle parole di quella strana figura che lo aveva appena lasciato.

– E’ là, e mi sta sorridendo! – gli rispose felice, indicando il cielo, prima di correre dietro a nuove bolle che si allontanavano con i suoi teneri baci.
Che cos’è una parola? È voce, è magia, è cultura; è la foto di un pensiero che significa speranza.
È questo che pensò mentre si allontanava da quella splendida piazza; è così che avrebbe iniziato il suo nuovo libro. Lo avrebbe dedicato ad un uomo senza volto, che sapeva parlare col cuore.