Giovedì Santo

Pubblichiamo un racconto di Luigina Parisi, autrice VJ Edizioni nonché vincitrice ex aequo del Premio Letterario Clepsamia 2019, sezione Narrativa.

Era il giovedì santo del 2020. Un anno strano, un anno terribile, un anno incredibile.

Si era confinati in casa per decreto governativo. Restate a casa era il motto più ripetuto, in TV, nei social, alla radio, nelle canzoni, nelle poesie. E noi ubbidienti e spaventati ci siamo rintanati nelle nostre rassicuranti mura. All’inizio, a dire il vero, sembrava un gioco, una esercitazione a cui prestare poca importanza, ma da eseguire con scrupolo per dimostrare che ne eravamo capaci. Ma poi i tempi si sono allungati incredibilmente e noi abbiamo cominciato a guardarci con stupore da dietro mascherine spesso confezionate in casa coi tessuti della nonna, di quelli fitti, tessuti a mano al telaio tanto tempo fa. Erano stati asciugamani o candide lenzuola, lievemente ingiallite dal tempo passato dentro una cassapanca, perché altri tipi di lenzuola avevano preso il sopravvento: quelle di flanella morbide e avvolgenti per l’inverno e quelle di cotone leggero, stampato a fiori per l’estate. Ecco ora si riprendevano la scena , addirittura sfoggiati in bella mostra sopra visi di ogni tipo.

Era il giovedì santo del 2020, un anno strano.

Le speranze di passare la Pasqua in compagnia erano affogate nell’odore di candeggina che aleggiava su ogni cosa. Ce ne stavamo passivi ad aspettare. C’era chi preparava delle deliziose pagnottelle per celebrare in casa, forse davanti alla TV accesa, l’ultima cena. C’era chi contava i giorni di clausura e chi invece perdeva il conto dei giorni della settimana perso dietro alle infinite domeniche con cui si succedevano i giorni.
Intanto la primavera arrivava silenziosa, i prati accarezzati dal sole più dolce s’offrivano come fanciulla innamorata e profumata , irradiando gioia coi colori dei fiori che danzavano al tenue soffio del vento. Pollini riprendevano le danze della vita ignari dei bollettini di morte che si ergevano come sbarre sulla nostra voglia di aprire la porta e correre su quei prati munifici di speranza.

Era il giovedì santo del 2020.

Eravamo tenuti insieme da una rete, come pesci incauti e incapaci di capire e di reagire. Eravamo madri, padri, sorelle, insegnanti, eravamo amici, tutti in tensione, eravamo figli costretti a seguire lezioni su remoto assorbendo nozioni senza poter guardare negli occhi, e sentire l’umano dell’altro, le falle e i punti di forza.
Temevamo l’invisibile nemico, infido e malevolo, così piccolo da non poter essere combattuto con facilità. Scarni i nostri armamenti, aspettavamo rinforzi.

Era il giovedì santo.

Facevamo cerchi intorno alle nostre certezza, difendendo i nostri cari, confinandoli innocenti in carceri d’amore. Li vedevamo ingrigirsi e perdere speranza, senza poter fare molto, neanche una rasserenante passeggiata in riva al mare. Li vedevamo invecchiare, col respiro sempre più corto, smagrire e ci veniva di urlare contro il tempo, bastardo, che ci feriva con la nostra stessa arma: l’amore .

Era giovedì. Era oggi, così.

Una risposta a “Giovedì Santo”

  1. Peste nel 1720, colera nel 1820, spagnola 1920, covid19 2020. Saranno solo coincidenze? Stiamo vivendo un periodo allucinante, al quale non eravamo preparati. Un segnale, per rivedere i veri valori della vita, per chi crede nei sentimenti più sinceri.

I commenti sono chiusi.